Inchiesta sulle cooperative, sei arresti

Inchiesta sulle cooperative, sei arrestiDue anni fa, dopo le perquisizioni, centinaia di lavoratori furono lasciati a casa da un giorno all’altro. Gli sviluppi dell’indagine bresciana: la truffa al fisco avveniva con la compiacenza di un ispettore Inps

Due anni fa la prima fase dell’operazione, con la perquisizione di nove cooperative di lavoro (sei operavano a Bergamo e provincia e impiegavano circa 400 lavoratori, tutti rimasti a casa da un giorno all’altro), l’arresto di quattro persone, accusate tra l’altro di aver tentato di corrompere due ispettori del lavoro con 60 milioni delle vecchie lire, e 21 persone finite nel mirino della magistratura bresciana, a vario titolo, per associazione per delinquere, truffa, appropriazione indebita, falsità in atti pubblici, eliminazione di documenti contabili. Nei giorni scorsi la seconda parte, con l’arresto di due degli indagati già due anni fa, un commercialista bresciano e un faccendiere romano (ai domiciliari), e con l’esecuzione di altre quattro misure cautelari: in carcere per un ex ispettore dell’Inps di Brescia da pochi mesi in pensione e per due «pseudo-imprenditori» originari della Campania, ma radicati a Brescia, agli arresti domiciliari per un terzo imprenditore bresciano. Misure interdittive, infine, sono state applicate per un altro ispettore Inps di Brescia e per un secondo commercialista bresciano. Quattro obblighi di dimora per personaggi considerati secondari.

L’inchiesta dei carabinieri dell’Ispettorato del Lavoro di Brescia, coordinati dal procuratore della Repubblica di Brescia Giancarlo Tarquini e dal pm Gianfranco Gallo, ha di fatto smantellato un’organizzazione capillare di cooperative creata ad arte a partire dal 1998 con lo scopo presunto di frodare il fisco e gli enti previdenziali. Decine di milioni di euro sarebbero stati sottratti allo Stato nel corso di sei anni di presunta attività fraudolenta. Le cooperative e le società collegate (27 in tutto quelle considerate irregolari, fra Brescia, Bergamo, Milano, Roma, Cremona, Padova e Vicenza) erano quasi sempre fatte presiedere da prestanome consenzienti, ma anche del tutto ignari (persone in età avanzate che avevano un ruolo esclusivamente cartolare).

Le cooperative, che occupavano soprattutto manodopera straniera, prestavano lavoro a grandi e medie imprese in tutto il Nord Italia, anche nella Bergamasca, a costi bassissimi e sbaragliando la concorrenza. Secondo gli investigatori, avrebbero tenuto di fatto una doppia contabilità: nel registro ufficiale non figuravano i lavoratori in nero e le ore che venivano pagate fuori busta. I prospetti paga venivano elaborati a partire dai registri ufficiali, le presenze ufficiose servivano invece per stabilire quanto fatturare alle ditte committenti. I contributi previdenziali e assistenziali, versati regolarmente dalle committenti, sarebbero stati trattenuti totalmente o parzialmente dal sodalizio, che remunerava i lavoratori delle cooperative senza le dovute registrazioni agli enti preposti, lasciando di fatto i soci lavoratori, del tutto ignari, senza una posizione previdenziale.

Per garantirsi l’impunità, gli indagati avrebbero inoltre ridotto al lumicino la possibilità di rintracciare prove delle loro attività, disponendo la cessazione delle attività di ogni cooperativa a un anno dalla costituzione, confidando sul fatto che le ispezioni ordinarie non vengono effettuate, solitamente, se non dopo un certo periodo di tempo, superiore a un anno. Quelle create successivamente non erano nient’altro che cloni della prima: stesse cariche, stessi lavoratori, sede legale molto spesso a Roma (un altro elemento che viene ritenuto di depistaggio), denominazione nuova. Fra le garanzie di impunità di cui godeva il sodalizio, secondo gli inquirenti, c’era anche la copertura fornita da due ispettori dell’Inps di Brescia, uno andato in pensione da pochi mesi e sottoposto a custodia in carcere, l’altro sospeso dal servizio, i quali avevano costituito un consorzio di cooperative con sede legale a Brescia e vi avevano associato quelle oggetto di indagine. Secondo l’accusa, garantivano in cambio di denaro ispezioni concordate o fittizie.

Gli inquirenti hanno rilevato di avere «fondato motivo di ritenere» che tale «dispositivo associativo aggressivo e virulento» «sia presente e diffuso anche in altre realtà territoriali».

(28/10/2004)

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