Il notaio Antonio Parimbelli:
«Batteremo la Grande Crisi»

Da qualche parte in casa del notaio Antonio Parimbelli, fra i tanti libri di saggistica che conserva, ci sono ancora i due soli numeri usciti de «Il ribelle e il conformista», il periodico della sinistra Dc all'inizio degli anni '50. Leggi l'intervista su L'Eco in edicola

Da qualche parte in casa del notaio Antonio Parimbelli, fra i tanti libri di saggistica che conserva, ci sono ancora i due soli numeri usciti de «Il ribelle e il conformista», il periodico, dalla vita brevissima, della sinistra democristiana all'inizio degli anni '50.

Formidabile, ma anche doloroso e discusso, quel periodo che vede la diaspora dalla Dc di un drappello di inquieti giovani cattolici dalle belle speranze, che poi ritroveremo tra i fondatori della sinistra eretica del Manifesto e in quella ortodossa del Pci e che ha l'epicentro a Bergamo. Tre nomi su tutti, ormai scomparsi: Lucio Magri, Beppe Chiarante, Carlo Leidi. La schiera, in realtà, era più numerosa, almeno quella sera in cui si ritrovano in una trattoria di Borgo Santa Caterina per sancire la rottura con il partito dopo aver subito il pugno di ferro di Amintore Fanfani a Roma e di Enzo Zambetti, il proconsole bergamasco del leader nazionale dello scudocrociato.

C'è chi rimane nella Dc, tendenza di sinistra, come Luigi Granelli e Gilberto Bonalumi. E c'è chi, come Parimbelli, pur lasciando il partito e abbandonando la politica attiva, si colloca a latere restando - per cultura, nostalgia e affetti - legato a quell'avventura entrata ormai nei libri di storia. Parimbelli oggi è un tranquillo signore di 86 anni, stessa età di un illustre democristiano doc, Filippo Maria Pandolfi, ed è una singolare sintesi fra sapori popolari e professionismo da establishment.

Su L'Eco di Bergamo in edicola un'intervista a tutto campo: dalla Dc alle banche, agli industriali, alla Grande Crisi, a proposito della quale dice: «Ne usciremo, ne sono convinto: i fondamentali restano a posto e la nostra gente coltiva l'etica del lavoro e mantiene il valore della solidarietà. È questo tradizionalmente il vero patrimonio dei bergamaschi. Direi che anche in questo periodo scorgo in certi industriali la capacità di rischiare e di cambiare: anche per questo ce la faremo. Con i migliori auguri».

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