Per il delitto di Vertova
chiesto il processo per 4 indagati

E’ stata fissata per il 1° luglio prossimo - davanti al gup Vittorio Masia - l’udienza preliminare per le quattro persone coinvolte, a vario titolo, nell'inchiesta per l’omicidio di Maria Grazia Pezzoli (nella foto), l'imprenditrice di Vertova uccisa il 24 luglio scorso nella sua abitazione-ufficio. Dopo aver chiuso le indagini, il pm Carmen Pugliese ha infatti chiesto il rinvio a giudizio per Ali Ndiogou, ritenuto l'assassino della donna, e per altre tre persone - tra cui il marito della vittima, Giuseppe Bernini - accusate di reati minori.

La chiusura dell'inchiesta era stata notificata a metà febbraio ai difensori, che hanno poi avuro 20 giorni di tempo per produrre le memorie difensive. Dopo averle consultate, il pm ha comunque deciso di chiedere al gup il processo per gli indagati.

Il presunto assassino - La posizione che, dal punto di vista dell'accusa, pare più consolidata è quella di Ali Ndiogou, senagalese, 40 anni, di Vertova. È stato lui, per il pm, a uccidere. L'avrebbe fatto dopo essersi visto rifiutare i 48 mila euro che reclamava da Bernini, suo ex datore di lavoro. Contro di lui ci sono le tracce ematiche e il sudore trovati sul luogo del delitto e compatibili col suo dna, alcune impronte e altro dna compatibile rilevato su un lembo di pantalone su cui c'era anche il sangue della vittima. I suoi difensori - Giovanni Fedeli, Emanuela Sabbi e Maria Serranò - sostengono invece che Ndiogou ha un alibi. In più, per la difesa, non torna il suo comportamento: il senegalese è stato arrestato un mese dopo il delitto, sottoponendosi senza resistenze all'esame del dna, il test che l'ha poi incastrato. Fosse stato lui a uccidere, dicono gli avvocati, avrebbe avuto tutto il tempo di fuggire.

Il marito della vittima - Giuseppe Bernini, imprenditore e assessore allo Sport di Vertova, è indagato per favoreggiamento nei confronti di Ndiogou. Per gli inquirenti, nelle ore successive al delitto, quando movente e assassino erano ancora una nebulosa, avrebbe di proposito taciuto i contenziosi col presunto assassino nel tentativo di sorvolare sui problemi delle sue ditte. In questo modo i carabinieri ci avrebbero messo un mese per risalire a Ndiogou, col rischio che nel frattempo si dileguasse. La difesa, rappresentata da Antonio Cassera, punta invece sulla buona fede di Bernini.

La telefonata negata - Di favoreggiamento deve rispondere pure Aliuone Badara Silla, il senegalese di 39 anni, residente a Gandino, che subito dopo il delitto aveva ricevuto una telefonata di 13 secondi da Ndiogou. L'immigrato ha sempre negato la circostanza e anche in questo caso, il difensore, l'avvocato Alessandro Zonca, sostiene l'innocente dimenticanza.

Il maresciallo intenerito - Davanti al Gup anche il maresciallo Ignazio Grinciari, comandante dei carabinieri di Fiorano, accusato di falso ideologico e concorso in sottrazione di cose sottoposte a sequestro. Il sottufficiale, difeso da Antonino Andronico, aveva fatto entrare Bernini nella casa del delitto, nonostante i sigilli. Lo aveva fatto, sostiene il militare, per consentire al vedovo di recuperare un abito presentabile per il funerale della moglie, lì a poche ore.

È stata invece archiviata la pratica per Moctar Diop, senegalese di 36 anni, di Vertova, difeso da Emilio Tanfulla. Era finito indagato per omicidio per via di un precedente che induceva al sospetto: il 27 novembre 2007 aveva aggredito il suo datore di lavoro Bernini in un cantiere del Bresciano rubandogli il borsello coi soldi (episodio per il quale ha rimediato un anno e 10 mesi per rapina e lesioni). È stato però scagionato dopo il test del tampone di saliva.

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