«Carcere e lavoro: Bergamo esempio per una proposta di legge»

L’obiettivo è integrare quanto già previsto dalla legge Gozzini

L’alternativa alla detenzione in cella attraverso il lavoro è una realtà importante nel carcere di Bergamo: tanto importante che il ministro della Giustizia, Roberto Castelli - in visita per la prima volta oggi alla casa circondariale di via Gleno - ha annunciato che l’esperienza di Bergamo sarà sintetizzata in una proposta di legge, che mirerà a integrare quanto già previsto dalla legge Gozzini.

A Bergamo questa la strada è già stata sperimentata e oggi il carcere è legato a una convenzione con dodici comuni della valle Seriana, che accoglieranno un detenuto-lavoratore per almeno tre anni. Un passo importante, tanto da diventare un esempio a livello nazionale. In sostanza, il detenuto che sarà ammesso a un programma di lavoro esterno al carcere e potrà beneficiare di sconti di pena. Per Castelli l’obiettivo è di far aumentare il numero di detenuti che lavorano del 5 per cento ogni anno. E proprio in tema di lavoro il ministro ha anche inaugurato il centro di panificazione del carcere di via Gleno: da settembre i venti diplomati che hanno frequentato il corso cominceranno a uscire dalla casa circondariale per poi rientrare finito il lavoro.

Nulla a che vedere con indulto e indultino, tanto attesi quanto ormai tramontati. A proposito di provvedimenti di clemenza, Castelli ha diffusamente spiegato oggi le motivazioni che lo vedono contrario.

Quanto al sovraffollamento delle carceri il ministro ha spiegato di contare molto sugli effetti della legge Bossi-Fini che consente agli stranieri che devono scontare meno di due anni di chiedere di essere rimpatriati da uomini liberi: i casi finora registrati sono 541, ma per Castelli sono destinati a crescere.

Il ministro ha anche inaugurato il centro di panificazione del carcere di via Gleno: da settembre i venti diplomati che hanno frequentato il corso cominceranno a uscire dalla casa circondariale per poi rientrare finito il lavoro.

(12/05/2003)

Su L’Eco di Bergamo del 13 maggio 2003

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