Crespi, a rischio il Patrimonio dell’Umanità

Il riconoscimento nel ’95, ora l’ex villaggio operaio potrebbe essere cancellato dalla lista dei siti protetti

È una voce che gira da qualche tempo turbando la tranquillità del villaggio operaio: Crespi d’Adda è in difficoltà e rischia di uscire dalla lista dei siti considerati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Un riconoscimento arrivato nel 1995 e oggi, secondo i più preoccupati, in pericolo. Perché manca un programma di conservazione, perché la fabbrica è ferma, perché gli abitanti invecchiano e i giovani fuggono, perché mancano i servizi essenziali. Una paura che di recente il consigliere provinciale di Forza Italia Maria Letizia Fumagalli ha fatto propria: «Bisogna fare qualcosa, perché Crespi ha dei grossi problemi e il Comune non può farcela da solo», ha detto durante una commissione consiliare in via Tasso.A dare l’allarme sulla situazione del villaggio, grazie al quale tra l’altro il Comune di Capriate San Gervasio ha appena ottenuto il titolo di città, sono le associazioni, gli esperti e le persone che hanno a che fare con il territorio. Come il professor Edo Bricchetti, fondatore della Società di archeologia industriale e primo docente a tenere un corso universitario sulla materia, che ha seguito da vicino l’iter che portò Crespi al titolo Unesco e che oggi è pessimista. «Dopo l’entusiasmo iniziale si è pensato di poter vivere di rendita – afferma Bricchetti –. Ma purtroppo non è così: per ottenere fondi il Comune dovrebbe avere idee e affidarsi a persone capaci. Qui c’è una mentalità chiusa: tutto quello che hanno ottenuto è stato un finanziamento regionale per il recupero dell’edificio del teatro, in cui si doveva realizzare un centro di documentazione didattica, ma non se n’è fatto più nulla. Manca un’indicazione di governo, mancano le iniziative per dare lavoro ai giovani e impedire che il villaggio diventi un luogo di seconde case oppure che si svuoti. Il giorno in cui l’Unesco verrà a chiedere conto di cosa è stato fatto, temo che si rischi qualcosa».La possibilità di un’uscita dalla lista Unesco, almeno teoricamente, esiste, nel momento in cui vengono meno i requisiti di autenticità, integrità e valore universale che hanno reso un luogo meritevole della menzione. Ma esiste anche un problema di responsabilità: se è vero che ufficialmente è il Comune l’ente gestore del sito, è difficile pensare che l’amministrazione di un piccolo paese possa farsi carico senza problemi di un compito così oneroso. È quel che dicono anche le due principali realtà che operano nel villaggio, le associazioni «Villaggio Crespi» e «Nema», che proprio per questo sono meno critiche nei confronti del Comune, ma i problemi li vedono tutti i giorni. «Purtroppo è vero che a Crespi manca un programma di conservazione – afferma Nicola Lecchi, presidente di Nema –. Il villaggio è lasciato al degrado e mancano i servizi essenziali, il che è paradossale in un luogo che un tempo era un’isola felice con strutture gratuite e all’avanguardia». «Crespi è un villaggio dove il tempo si è fermato – spiega Marco Pedroncelli, fondatore dell’associazione "Villaggio Crespi" –. Con tutte le conseguenze del caso l’entrata nel patrimonio mondiale non è stata messa a frutto, non ha portato alcun vantaggio. Chi abita a Crespi percepisce il villaggio come una scritta in più sui cartelli stradali. È come se si pensasse che se non si fa nulla per migliorare non si può nemmeno peggiorare».Eppure non si può certo dire che il villaggio venga ignorato dai turisti: si contano più di 30 mila visitatori all’anno, composti in gran parte da scolaresche in gita, ma anche da turisti occasionali e veri e propri appassionati del genere, soprattutto stranieri. Una folla che le due associazioni di volontari accolgono con visite guidate e iniziative culturali: «Villaggio Crespi» ha appena aperto il primo punto informazioni nel villaggio, mentre «Nema» ha organizzato lo scorso dicembre un convegno internazionale e quest’estate proponeva visite in notturna. C’è poi la questione del cotonificio, abbandonato definitivamente da un anno: «Con la chiusura della fabbrica, non solo metà del paese è morto, ma il villaggio industriale rischia di perdere la sua stessa identità. La proprietà aveva parlato di un progetto di recupero con spazi residenziali, commerciali e a utilizzo pubblico, ma al momento è tutto fermo. Si parla di un utilizzo culturale degli spazi che coinvolgerebbe l’università, ma di concreto non c’è ancora nulla». «L’ideale sarebbe far rivivere la produzione tessile, magari suddividendo gli spazi e affidandoli a cooperative di giovani», suggerisce Pedroncelli.Su quello che occorrerebbe fare per dare una svolta al futuro del villaggio sono tutti d’accordo: un piano strategico a lungo termine che metta in sinergia le forze in gioco, «un programma concertato a cui ognuno potrebbe contribuire con la propria esperienza, ma che deve avere un taglio di apertura verso l’esterno», precisa Lecchi, e Pedroncelli aggiunge: «Capriate è un Comune troppo piccolo per sopportare uno sforzo così grande, deve chiedere aiuto».(28/08/2006)

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