Il racconto di Marco, il bimbo di Pontida ferito: «Giocavamo, poi quel pennarello a terra....»

«Francesca ha detto: "Guarda Marco, c’è un pennarello" e si è chinata a prenderlo. Mentre si girava per farmelo vedere è esploso». Marco, 10 anni compiuti il 24 marzo, quarta elementare a Pontida, è un bambino coraggioso. Al telefono racconta con ordine e precisione. Solo, non parla di sangue né di dolore, «non ricordo bene» dice, e non è certo il caso di far riaffiorare lo sgomento per la morte sfiorata.

La giornata era cominciata benissimo. «A S. Donà di Piave - racconta Marco - dove vive il mio papà, si festeggia San Marco ed era anche il mio onomastico». Il picnic del 25 aprile sul greto del fiume apre la stagione estiva. Gruppi di amici e parenti si incontrano sulla spiaggia preferita. Uno dei punti più frequentati è la riva sassosa sotto il ponte che collega Ponte di Piave con San Biagio di Callalta. È un bel posto, con pozze di acqua bassa, spazio a sufficienza perché i bambini possano giocare e i grandi chiacchierare mentre tirano fuori insalata e uova sode, patatine e prosciutto. Nell’affollamento festivo le compagnie si mescolano, i bambini fanno amicizia. Poche decine di metri separano la gente dai tozzi piloni di cemento del ponte sul Piave. Così ieri mattina Marco parte da S. Donà e Francesca da Oderzo. Non si conoscono ancora, non sanno che questo giorno li segnerà per sempre.

«Siamo arrivati alle dieci e mezzo - racconta Marco - e abbiamo giocato per circa un’ora, più o meno, tutti insieme perché noi bambini facciamo amicizia in fretta e giocare in tanti è più divertente. Poi ci siamo spostati, stavamo correndo ma io ero un po’ indietro, Francesca era davanti a me». La ragazzina corre più veloce degli altri, un bagliore giallo la attira verso il pilone più a riva, si china e si rialza trionfante per mostrare la scoperta. «Guarda», e la gioia diventa un urlo coperto dalla detonazione. «È stato un rumore fortissimo, come di trombe che suonavano vicinissime, dopo mi fischiavano le orecchie». Più forte di un petardo di Carnevale, più acuto di uno scoppio. «C’era fumo e rumore, non ho visto lampi». Il colpo è enorme, lo sente un albergatore nel ristorante a centinaia di metri dal ponte. In un battito di cuore è cambiato il destino di una bambina. Le dita della manina maciullate, l’occhio destro straziato dalle schegge. Sangue e lacrime.

Ma Marco non lo dice. Tace un momento, lo si immagina con lo sguardo perso. Ma subito è presente a se stesso e torna a raccontare. Raccontare aiuta a uscire dallo choc, a mettere tempo tra te e l’orrore: «Ero lì e ho chiamato la mamma di Francesca, più forte che potevo. Subito sono arrivati in tanti. Tanta gente e qualcuno diceva "fasciatele la mano" e qualcuno diceva parolacce. Ci hanno portato in braccio verso le macchine e poi sono arrivati l’elicottero e l’ambulanza. L’elicottero ha preso Francesca e l’ha portata all’ospedale di Treviso. L’ambulanza era per me e mi hanno portato all’ospedale di Oderzo». Marco non dice mai «sentivo male», «piangevo». Descrive solo il rumore fortissimo e, dopo, la paura. Eppure in quel momento ha una scheggia di plastica giallo acido conficcata profondamente sotto il ginocchio destro, la mano sinistra graffiata dalla nuvola tagliente dei frammenti di pennarello.

Vede levarsi in volo l’elicottero con la bambina ferita prima di allontanarsi a sirene spiegate dalla spiaggia dove già il sangue dei bambini asciuga sui sassi. «All’ospedale mi hanno tolto la scheggia dal ginocchio e poi l’hanno fasciato ma non mi hanno messo punti. Mi hanno anche disinfettato e sistemato la mano sinistra. Poi mi hanno lasciato andare a casa con il papà. Francesca invece so che è stata operata e che ha perso le dita e forse un occhio ed è ferita anche in testa. Mi dispiace, spero che almeno l’occhio possa guarire. Quando mi lasceranno andrò a trovarla».

Il papà interviene: «È ancora sotto choc. La paura sta venendo fuori adesso. Le ferite invece sono leggere. Non so se è stata fortuna. Per me qualcosa di più, qualcosa di cui sarò grato per sempre. Doveva essere una giornata allegra. Avevamo scelto il posto proprio perché è adatto ai bambini. I grandi stavano chiacchierando, i bambini giocavano, poi quel botto che ha fatto voltare tutti, un attimo e la morte ha sfiorato questi bambini. È un miracolo che sia qui a casa. Nei giorni prossimi dovrà fare i controlli in ospedale, si fermerà con me qualche giorno in più prima di tornare dalla mamma a Pontida». «Ho telefonato subito alla mamma e le ho raccontato quello che era successo - dice il bambino - e si è spaventata ma le ho detto che ero a casa e non all’ospedale e che era tutto finito e così le ho fatto passare la paura».

Il pennarello maledetto Marco lo descrive benissimo: «Era sul cemento ai piedi del pilone a riva. Era nuovo, bello lucido e il colore giallo si vedeva da lontano. Non era tanto grosso, era come quelli che si usano a scuola. Non era stato buttato lì, era appoggiato. Ne sono sicuro perché era bello dritto, con il tappo verso la bambina. Se fosse stato gettato o fosse caduto a qualcuno sarebbe stato tutto storto. Lei l’ha raccolto e mentre lo faceva vedere è esploso. Non so come, non ho visto fili o cose così. E poi non c’è stato tempo, è stato proprio un attimo, prima il pennarello era lì e Francesca correva e subito dopo c’erano le urla e il fumo e il rumore».

A Pontida vivono anche altri parenti di Marco. La zia gli ha telefonato nel pomeriggio per fargli gli auguri di buon onomastico: «Ma non mi ha detto niente di quello che era successo. Poi ho saputo la notizia e l’ho richiamato subito. Gli ho chiesto perché non mi aveva detto niente. "Per non farti preoccupare" mi ha risposto. È un bambino eccezionale».

Un bambino che ha visto la morte in faccia per colpa di un ordigno deliberatamente costruito per straziare. Come in un Paese in guerra. La generazione nata negli Anni Cinquanta ricorda i cartelloni che stavano appesi in tutte le scuole e dicevano di non toccare ciò che si trovava in giro. Ma la guerra era finita da poco e il Paese era pieno di residuati e di mine giocattolo. Anche a forma di penna. Adesso siamo in pace e fino a ieri pensavamo che i giochi dei bambini fossero sicuri. Soprattutto a un picnic di primavera, sotto gli occhi degli adulti. Ma non tutti gli adulti amano i bambini.

(26/04/03)

Su L’Eco di Bergamo del 26/04/03

Susanna Pesenti

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