Il ricordo di Giuseppe Remuzzi

Bruno l’ho incontrato una sera, era il ’68, di settembre. Di lì a poco cominciavo la scuola di medicina. Lui era all’ultimo anno. L’ho sentito così grande, già vicino alla laurea. «Sono contento per te». Mi ha fatto un certo effetto. Tre anni dopo eravamo insieme. Lui già dottore, io volevo imparare. Al mattino c’era il giro col primario. Si doveva fare bella figura. Era bravo il nostro primario, e aveva carisma. C’era un altro dottore, anche lui molto giovane, Fredy Suter, «Bruno, il nostro primario sarà contento di noi?». Al pomeriggio c’era il giro delle flebo. Era l’occasione per parlare ancora un po’ coi malati, noi da soli, e stare con le infermiere. Una lavorava sempre.

E poi c’era la signora Maffioletti. «Ma-ffio-le-tti» diceva Bruno scandendo le sillabe, e le accarezzava il velo, e lei - già di una certa età - arrossiva, «dottor Minetti!» come dire, faccia il bravo. Arrossiva tutti i pomeriggi la Maffioletti, e si riaggiustava il velo (chissà, forse il giorno dopo, il dottor Minetti glielo avrebbe stropicciato ancora). Bruno era disponibile, allegro, entusiasta. E bellissimo. C’era un ragazzo malato di nefrite, il dottor Minetti lo prendeva sotto braccio e gli faceva fare il giro, con noi, e lo faceva felice (la nefrite si cura bene oggi, e si guarisce, allora no, quel ragazzo è morto, ricordi, Bruno?).

Di notte si dormiva poco, la guardia era per quattro reparti, duecento malati, forse di più. Ogni tanto ci si appisolava, lui sul letto del medico di guardia, io sul lettino volante. Ma la notte era anche stare con gli infermieri. Ti preparavano la pastasciutta all’una, alle due, secondo. Certe volte c’era la pizza. Infermiere, era «in» tra il ’68 e il ’74. E Bruno era attento, molto, al lavoro degli infermieri e ai loro problemi. Una era bella e anche molto sveglia. Si sono voluti bene subito. Qualche volta si andava in montagna con la Volkswagen blu, noi tre (una volta - a dire il vero - c’era un’altra ragazza, e un cane). Dove andavamo? Sempre in posti bellissimi (Bruno il bello lo vedeva dappertutto). E l’estate a Ventotene. Lì è bello davvero, c’è Santa Candida. I bambini fanno un cerchio attorno a mongolfiere di carta «Ue, ue, u’ pallò» cantano così per tante sere, fino a quando va in cielo la mongolfiera più grande. Bruno ballava e cantava «Ue, ue, u’ pallò».

Cantava quei giorni lì e tutti gli altri, fino alla fine delle vacanze. C’era «o scemo», a Ventotene, uno un po’ ritardato. Con «o scemo» Bruno ci parlava, si faceva raccontare come si fa a rubare i fichi. Ci siamo tornati dieci anni dopo. «O scemo» era lì, al porto. «Ciao Bru», come se si fossero visti due giorni prima. Più eri diverso, più Bruno ti faceva sentire importante. Non che lo facesse apposta, intendiamoci, gli veniva così. Bruno sapeva parlare con gli ammalati, e dargli entusiasmo, e quello lo faceva più e meglio di chiunque altro. E non era per finta. Qualche volta, di questi tempi, vedo dei medici che prima timbrano il cartellino, poi parcheggiano. Sì, perché a parcheggiare ci vuole mezz’ora, in Ospedale, «e allora mi devono pagare». Chissà, forse hanno ragione loro. Ma cosa c’entra il parcheggio? C’entra, Bruno, ti ricordi? «Prima timbro il cartellino, poi andiamo a togliere il camice», dicevi. Dopo, ci siamo visti di meno, ma quello che mi avevi insegnato l’avevo dentro ormai. Siamo tornati a vederci tanto negli anni della malattia di Manuela. Non c’è più niente da dire di quel periodo, solo grazie, una volta ancora (a proposito se di là dovesse esserci qualcosa, la incontrerai, ti farà compagnia, salutamela). Sai, la mattina - sui torni - qualche volta vedo il nostro primario. Non ho mai osato fermarlo. Tre dei suoi studenti di allora, sono diventati primari nel suo Ospedale, non è successo mai, a Bergamo, e quasi mai in Italia. Un giorno ho pensato di chiamare qualcuno dell’Eco «perché non la raccontiamo questa storia, in poche righe, una piccola foto del professore con noi tre, gli farà piacere».

È una buona idea, mi hanno detto. Avrei dovuto insistere. Adesso è tardi. «Il nostro primario sarà stato contento di noi?». Non lo so, Bruno, non lo sapremo mai.

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