Le difficili sfide di Gori
Programma contemporaneo

di Dino Nikpalj

Il primo aggettivo che viene in mente leggendo il discorso d’insediamento del sindaco Giorgio Gori a Palafrizzoni è «contemporaneo». E di questi tempi è già qualcosa. L’ex manager televisivo non poteva partire con il freno a mano tirato.

Il primo aggettivo che viene in mente leggendo il discorso d’insediamento di Giorgio Gori a Palafrizzoni è «contemporaneo». E di questi tempi, sospesi tra un passatismo che fa capolino qua e là ed uno sguardo di maniera ad un indefinito (talvolta indefinibile) futuro, è già qualcosa. Certo, passare dalle enunciazioni ai fatti è tutto un altro paio di maniche, ma l’ex manager televisivo non è partito con il freno a mano tirato, consapevole di non potersi permettere 5 anni al ribasso e che il cambio di passo tante volte auspicato a mo’ di slogan in campagna elettorale ora deve concretizzarsi in decisioni. Anche scomode se necessario.

E qui diventerà fondamentale il rapporto con un centrosinistra dove i mal di pancia si sono già manifestati nella scelta dei posti che contano, con un Pd che ha fatto il pieno tra i mugugni degli alleati. Per realizzare alcuni passaggi davvero fondamentali (e anche coraggiosi, va detto) del suo programma, Gori avrà bisogno di una coalizione coesa come poche. A cominciare dalla mobilità, tema sul quale sono andate ad infrangersi fior di speranze di cambiamento. Centrosinistra d’antan compresi.

Il Metrobus, la ridefinizione del sistema della sosta, l’estensione della pedonalizzazione del centro, i cosiddetti «corridoi di qualità» per il trasporto pubblico locale - che sottendono sì semafori asserviti, ma anche corsie preferenziali per i bus - sono scelte forti per una città abituata a mediare in eterno, fino a rimanere prigioniera dei suoi stessi limiti. Strutturali e di visione. L’apertura e il coinvolgimento ai privati in diversi settori, il ricorso a modalità quali il fund raising, i social bond o il crowdfunding, la caccia ai fondi europei e l’abbandono di una visione di gestione economica incentrata prevalentemente sulle recriminazioni (comunque giuste) per una Roma padrona dei nostri soldi bloccati dal Patto di stabilità sono sicuramente un cambio di passo. Seppure solo sulla carta, per il momento, quindi tutto da valutare nel concreto: ma l’approccio pare sicuramente innovativo, al netto delle inevitabili pressioni politiche che rischiano di annacquare qualsiasi buon proposito.

Di certo Gori si gioca molto, e forse non poteva fare altrimenti. Nell’immaginario collettivo, la sua candidatura prima, e la vittoria dopo, hanno suscitato tanti dubbi quante aspettative. E spesso concentrate nella sua parte politica d’appartenenza. «Siamo qui per far succedere le cose» ha detto, cedendo allo slogan ad effetto, e in 53 minuti d’intervento ha giocato sul filo del futuro, dosando da buon comunicatore problemi e speranze: «La partita dei prossimi anni si giocherà sulla capacità del capoluogo di contrastare la tendenza al declino demografico e alla perdita di posti di lavoro». Che al tirar delle somme è la fotografia di un capoluogo sempre più piccolo ma al contempo ben più grande dei propri confini in termini di servizi: e che proprio ora che la Provincia non esiste più è chiamato, per necessità, orgoglio o vocazione, a ridefinire il proprio ruolo. Tornare cioè ad essere un posto da vivere e non da abbandonare la sera per rifugiarsi in un hinterland spesso solo da abitare. Pena l’inevitabile decadenza.

E il discorso vale anche nei punti storicamente forti come il sociale, dove la ricetta per il futuro non passa (non può più passare) dalla conservazione acritica del passato. O dalla rivitalizzazione di un tessuto abitativo che non può più incentrarsi sul consumo di suolo ma sul recupero dell’esistente e del dismesso. Temi sui quali Gori scommette pesante, almeno a livello di principi: alle capacità dell’ex manager Mediaset il compito di tradurli in fatti e scelte. Alla politica quello di remare nella stessa direzione. O almeno provarci.

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