Meroi, la vetta più bella con il marito
Dopo la malattia, vinto il Kanchenjunga

Non è solo il suo dodicesimo ottomila. Il Kanchenjunga che sabato attorno alle 12 la bergamasca, originaria di Bonate Sotto, Nives Meroi ha conquistato, assieme al marito Romano Benet, è qualcosa di più.

Non è solo il suo dodicesimo ottomila. Il Kanchenjunga che sabato attorno alle 12 la bergamasca, originaria di Bonate Sotto, Nives Meroi ha conquistato, assieme al marito Romano Benet, è qualcosa di più. Perché anche nell’alpinismo, esistono risultati che non si possono misurare esclusivamente con il metro della prestazione sportiva. Quello della performance agonistica.

Non c’è record o collezione che tenga, quando l’otto volante della vita, dopo averti concesso di salire su undici delle cime più alte del pianeta, ti ha sballottato lungo una bruttissima china fatta di malattia e sofferenza.

E allora, questo Kanchenjunga misura molto di più dei suoi 8.586 metri. Il doppio, ma anche il triplo. Difficile da quantificare. Una specie di personalissima coppa del mondo che i due scalatori hanno scelto di giocare lì, dove la partita era stata interrotta ormai cinque anni fa.

Proprio sulla terza vetta della terra, nel maggio del 2009, Romano Benet, aveva avvertito infatti i primi segnali di una rara patologia ematologica - un’aplasia - e sua moglie Nives, che all’epoca era ancora in corsa per diventare la prima donna al mondo ad aver conquistato tutti i quattordici ottomila, non aveva battuto ciglio; dietrofront e nella testa un solo pensiero: stare vicino a suo marito in quella che sarebbe diventata la loro ascensione più lunga e difficile. Due trapianti di midollo, gli alti e bassi che certe terapie si portano inevitabilmente appresso e, alla fine, fortunatamente, la guarigione.

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