«Profughi, la Chiesa è in prima linea
Ma le istituzioni non ci lascino soli»

In prima linea, mettendoci del suo. La Chiesa di Bergamo sull’accoglienza dei profughi non s’è mai tirata indietro, attirandosi anche critiche. Rispondendo a quella di sostituirsi alle istituzioni, il presidente della Caritas bergamasca, monsignor Nozza, ammette come non esista una progettualità complessiva da parte loro. E a chi accusa la Chiesa di tralasciare altri bisogni, replicano i numeri: 2,5 milioni spesi solo nel 2014.

La ricerca della Prefettura di strutture per accogliere nuovi profughi a Dalmine (l’ex scuola elementare) e a Caprino (il collegio di Celana) ha scatenato la politica e provocato raccolte firme (800 per Celana) di cittadini preoccupati. Nell’occhio del ciclone anche la Chiesa di Bergamo, ritenuta troppo incline a mettere a disposizione strutture proprie, mentre la Caritas gestisce i progetti di accoglienza.

Il presidente della Caritas diocesana e vicario episcopale per la pastorale, monsignor Vittorio Nozza, fino al 2012 direttore della Caritas nazionale, cosa risponde?
«Da trent’anni siamo coinvolti nel fenomeno dell’immigrazione, ma abbiamo sempre fatto fatica a percepire una progettualità complessiva da parte delle istituzioni. A livello nazionale ci sono state fatiche, confusioni, azioni contraddittorie».

Da parte dei governi o degli enti locali?
«A livello nazionale è mancato l’intervento sulla cooperazione internazionale: a ripetute affermazioni di impegno è corrisposto un investimento finanziario decrescente, sono mancate le intese fra Stati per permettere di aprire corridoi sicuri per profughi e migranti, con le conseguenze di morte e violenze che vediamo, mentre l’Europa latita. Quanto all’accoglienza, siamo convinti che la via migliore sia quella di piccoli gruppi sparsi sul territorio per facilitarne cura, controllo, gestione. Piccoli gruppi assorbibili dalle comunità locali. Invece in questi anni si è fatta una politica di “centri” disfunzionali. Mancando il livello nazionale, i territori hanno sentito di subire la situazione: un peso accollato, non la collaborazione a un progetto. In più, i tempi lunghi di attesa per tutti, chi ospita e chi è ospitato».

Se questo è il quadro, perché la Chiesa si coinvolge?
«Perché, oltre l’aspetto umanitario, la Chiesa è radicata nella parola del Vangelo. Perché il magistero, in particolare con Papa Francesco, sollecita una disponibilità ampia a condividere situazioni e beni. Per quanto riguarda la Chiesa di Bergamo, c’è anche la sua tradizione storica di azione concreta in risposta ai bisogni. Questo non esclude la valutazione critica della situazione di fronte a collaborazioni istituzionali che faticano a scattare, perché la Chiesa rischia di sostituirsi alle istituzioni e per di più di essere percepita come disattenta ad altri bisogni della comunità».

Non è così?
«No, basta considerare le cifre dell’impegno complessivo Caritas».

I profughi transitati finora nella Bergamasca sono circa 900, di questi 400 sono tuttora qui.
«Finora sono stati ospitati in strutture della Chiesa date gratuitamente: Casazza, Botta di Sedrina, San Paolo d’Argon, Villa Amadei, la Battaina di Urgnano. Solo a Valbondione ci sono due strutture di un privato prese in affitto da Caritas. È ancora Caritas, attraverso il braccio operativo Diakonia, che gestisce l’accoglienza. Lo Stato riconosce 35 euro per ogni giorno di permanenza: 2,5 euro sono girati al profugo, il resto serve per il mantenimento e i progetti di accompagnamento. In totale 2.298.725 euro. L’operazione costerebbe molto di più allo Stato se, oltre agli operatori specializzati e pagati, non collaborassero i volontari. Inoltre l’assistenza continua anche quando il periodo di sussidio è finito ma le persone non hanno ancora avuto il riconoscimento dello status di profugo: a Villa Amadei ci sono ancora una quindicina di persone arrivate col primo gruppo».

Insomma la diocesi non ci guadagna niente.
«Ci mette del suo. E non poco. Se ci fosse un guadagno, come mai in tutti questi anni siamo rimasti gli unici a mettere a disposizione gli spazi?».

Su L’Eco di Bergamo in edicola il 2 aprile l’intervista completa e due pagine di approfondimento.

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