Una telefonata, poi a Verona La famiglia: aspettiamo l’autopsia

Andrea Arrigoni, 36 anni, l’investigatore privato ucciso a Verona, abitava con i genitori a Osio Sotto. Era titolare, e unico addetto, dell’agenzia di investigazioni privata «Mercury», specializzata soprattutto in intercettazioni ambientali. La sede è in via Sant’Alessandro, nel cuore di Bergamo, poco distante dalla piazza della chiesa parrocchiale.Un’altra sede di trova invece a Vilminore.

Diplomato al Liceo classico, Arrigoni aveva fatto il paracadutista partecipando anche alla missione in Somalia. Dieci anni fa era stato militante leghista e membro della «guardia nazionale padana». Per l’allora capo dell’organismo Corinto Marchini era stato anche nella scorta di Umberto Bossi. Poi aveva lasciato per «beghe interne» dice Marchini. «Un ragazzo per bene e riservato, fin troppo timido in alcune situazioni» ldice chi l’ha visto crescere, mentre per i colleghi dell’Unipitalia, un’associazione che rappresenta gli investigatori privati italiani, era «un giovane e brillante collega». «Era una persona onesta. Non era uno che andava in giro a sparare di notte, non era un killer» dice il fratello Marco, che racconta come ieriAndrea avesse passato la domenica in famiglia con i genitori. Tutto normale. Verso le 23 Andrea Arrigoni avrebbe ricevuto una telefonata presumibilmente da un cliente e, quando poco dopo è uscito, avrebbe detto ai parenti che sarebbe tornato presto. Per il fratello Marco, la dinamica dell’accaduto «è assolutamente incomprensibile. E poi non ci sono testimoni. Io so solo che Andrea è uscito ieri sera, intorno alle 23, dopo aver ricevuto una telefonata, forse da un cliente, per andare a Verona. Il suo lavoro lo portava spesso in quella zona, così come a Padova. E a Verona aveva anche la fidanzata - ha raccontato -. Ma ieri sera sono convinto ci sia andato per lavoro. Poi è accaduto qualcosa d’inspiegabile».

Durante la notte a casa dei familiari di Arrigoni sono arrivati i carabinieri con la notizia della tragedia. La famiglia ora vuole attendere la ricostruzione esatta dell’episodio, ma non crede alle prime informazioni che attribuirebbero ad Andrea la responsabilità del terribile conflitto a fuoco. Il papà di Andrea, Alberto, 65 anni, è distrutto dal dolore. «Di mio figlio - dice - sono già state dette troppe cose. Non voglio aggiungere altre parole inutili. Lasciatemi tranquillo». Poi spiega che troppe cose non quadrano nella vicenda: «Voglio vedere i risultati dell’autopsia», ripete. «Aspettiamo - insiste - perché sicuramente c’é da capirne di più. Speriamo che l’autopsia dia qualche risultato utile». Alberto Arrigoni confida «nel lavoro delle forze dell’ordine e di quanti, in questo momento, stanno lavorando per ristabilire la verità», e intanto manifesta tutta le sue perplessità: «Mio figlio frequentatore di prostitute? Non scherziamo. Chi può credere che da Osio sia andato fino a Verona, con una Panda carica di oltre 200 mila chilometri, solo per incontrarsi con una prostituta? Semplicemente, non ha senso»..

«Non era pregiudicato - ha voluto sottolineare il fratello - e la denuncia della quale si è parlato in queste ore risaliva a molti anni fa, per un litigio con un uomo, per la quale era stata presentata una controdenuncia. Poi la vicenda era stata archiviata». Tanto che non aveva avuto alcun problema a rinnovare il porto d’armi.

Da diversi anni Arrigoni aveva una fidanzata in provincia di Verona. Forse pensava di andare a vivere con lei, visto che stava cercando di spostare il suo lavoro soprattutto verso il Veneto, a Padova e Verona.

(21/02/2005)

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