Fai riabilitazione «giocando»
Dalmine allena il Real Madrid

È un po' come giocare con la Wii, solo che stai facendo riabilitazione. Perché una volta messi i piedi sulla pedana basculante l'obiettivo è mandare in buca una pallina o far avanzare lo sciatore che compare sullo schermo di un computer collegato alla macchina.

È un po' come giocare con la Wii, solo che stai facendo riabilitazione. Perché una volta messi i piedi sulla pedana basculante l'obiettivo è mandare in buca una pallina o far avanzare lo sciatore che compare - in stile videogame - sullo schermo di un computer collegato alla macchina. Il tutto, come si dice, per unire l'utile al dilettevole. E a «giocarci», ora, sono anche i calciatori del Real Madrid, della Roma e del Palermo nell'ambito dei programmi di medicina sportiva.

Non necessariamente in caso di infortunio, ma anche per il normale allenamento. A realizzare le macchine in questione è la Tecnobody di Dalmine, nemmeno vent'anni di storia alle spalle, nata nel 1994 dall'intuito e dalla passione di Stefano Marcandelli, oggi in società con Alessandro Carminati e Giorgio Moioli. Si può dire che l'azienda sia venuta alla luce nel garage di Marcandelli, cresciuto a pane e sport.
Il padre Renato ha infatti detenuto il record nel lancio del peso. E il figlio non è da meno: si dedica al lancio del giavellotto vincendo i campionati italiani a 17 anni, frequenta prima il Pesenti, poi l'Isef, anche se il suo sogno nel cassetto è la facoltà di Medicina. «Abitavo alle case popolari di Valtesse e l'università aveva dei costi proibitivi per me». Nel garage di casa realizza la prima macchina robotizzata, in produzione tuttora. Una bella rivincita per Marcandelli, che piano piano fa conoscere le proprie macchine in tutto il mondo.

Prima la Grande Muraglia

Il primo mercato per giro d'affari? «La Cina». Nel Paese della Grande Muraglia la Tecnobody è approdata nel 2007, complice una fiera di settore a Düsseldorf, in Germania. «Il titolare della terza azienda cinese produttrice di materiale medicale, la Tianrui Medical Appliance di Lianyungang (giusto per dare un'idea è una società che conta 3 mila dipendenti, ndr), ha visitato lo stand di Tecnobody e, avendo deciso di dedicare una divisione alla riabilitazione, ha ordinato diverse macchine», spiega Marcandelli. Ad oggi ci sono circa 300 macchine a marchio Tecnobody installate nei principali ospedali cinesi. La società di Dalmine (il quartier generale si trova a Sabbio e uno stabilimento gemello è presente a Levate) si occupa anche della formazione dei medici cinesi.
«Tre-quattro volte l'anno vado in Cina e tengo seminari teorici e dimostrativi per spiegare ciò che le macchine sono in grado di fare». Le macchine robotizzate di Tecnobody operano in tre ambiti: riabilitazione ortopedica, neuroriabilitazione e medicina sportiva. Dal piede alla spalla: le macchine dell'azienda bergamasca partendo dall'arto sano verificano le condizioni di quello malato e elaborano il percorso riabilitativo che il paziente deve seguire, con tanto di «giochi» interattivi. Per comprendere la complessità di queste macchine basti pensare che sono composte dai 300 ai 400 pezzi e ognuna contiene dai 15 ai 20 sensori. «Il 50% della forza delle nostre macchine deriva dal software», puntualizza Marcandelli.

Sono 80 i fornitori

Ogni anno la Tecnobody sforna circa 400 macchine, per un giro d'affari di 4 milioni di euro, in crescita costante del 20%. Sono i 25 dipendenti - ragazzi con un'età media di 26 anni - ad occuparsi della progettazione e del cablaggio, perché i componenti arrivano da un'ottantina di aziende del territorio. «Una delle mie fortune è stata quella di fondare l'attività a Bergamo, perché è una provincia ricca di un tessuto artigiano di altissimo livello». Combinando l'aspetto tecnologico con quello scientifico, la Tecnobody lavora per la maggior parte con cliniche private e ospedali pubblici, guardando già al mercato del «welness health».
Francesca Belotti

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