La Cgil sulla certificazione dei contratti «Per i lavoratori è una zavorra»

«Per noi l’obiettivo prioritario è la lotta al lavoro precario. Ho l’impressione che la certificazione, al contrario, lo cristallizza: per il lavoratore è una zavorra in più, che gli complicherà ancora di più la possibilità di contestarlo». È questa la posizione della Cgil, espressa dal vicesegretario generale Marcello Gibellini, sulla certificazione dei contratti di lavoro e di appalto istituita dalla legge Biagi e regolata dai successivi decreti attuativi. «Alla fine - dice Gibellini - io mi chiedo: in certezza di diritto, se applico la legge, che bisogno c’è di certificare un contratto?».

Nei giorni scorsi la Cisl era intervenuta sull’argomento chiedendo alle controparti imprenditoriali di impegnarsi a sottoscrivere un patto territoriale per rendere obbligatoria la certificazione. La legge infatti parla di volontarietà, elemento che secondo la Cisl ne depotenzia l’efficacia come strumento di tutela dei lavoratori atipici, in particolare dei collaboratori a progetto per distinguere i contratti di co.co.pro. effettivi da quelli camuffati e più vicini nella realtà a un comune rapporto di lavoro subordinato.

Una prima reazione a quelle riflessioni era arrivata dal direttore della Direzione provinciale del lavoro Antonio Marcianò che annunciava, fra l’altro, l’insediamento entro la fine del mese della commissione di certificazione presso la Dpl e sottolineava l’utilità della certificazione per dare certezza preventiva ai contratti di lavoro e prevenire i conflitti, con un effetto anche di deflazione sui carichi di lavoro giudiziari e ispettivi. Sull’obbligatorietà, si sollevavano comunque due problemi: uno di ordine giuridico, poiché la volontà delle parti è per legge alla base dei contratti, e l’altro pratico, in termini di sostenibilità concreta del carico di lavoro potenziale, considerata anche la sottodotazione cronica in cui si trova l’organico della Dpl. Situazione di cui, sottolinea Gibellini, «il quadro politico bergamasco o non si cura o non ha potere per farlo».

Sul tema della certificazione dei contratti ora interviene appunto la Cgil che, rimarca il vicesegretario, «non parteciperà a nessuna di queste commissioni e per quanto ci riguarda non saranno istituite commissioni di certificazione negli enti bilaterali esistenti». Secondo il numero due della Cgil bergamasca, per essere in grado di incidere con efficacia sul mercato e sui possibili utilizzi impropri di alcune formule contrattuali, «le commissioni di certificazione dovrebbero avere il potere di verificare davvero come si svolge poi il lavoro» che è stato certificato. Il timore di Gibellini è che l’opera delle commissioni, che possono essere istituite anche da Provincia, Università e, appunto, dagli enti bilaterali, possa limitarsi a una semplice ratifica. «Mi auguro chiaramente che i contratti di collaborazione a progetto evidentemente fasulli saranno respinti - dice Gibellini -. Ma il punto vero è che il lavoratore al momento dell’assunzione è debole e noi temiamo che la certificazione sia funzionale per dare certezze non ai lavoratori ma all’impresa, per cristallizzare e ufficializzare rapporti dubbi nella loro qualificazione. E di fronte a una certificazione, il lavoratore farà più fatica a contestare un contratto camuffato». I decreti attuativi della legge Biagi regolano quelli che sono individuati come «rimedi esperibili nei confronti della certificazione» e prevedono che chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione ha l’obbligo di presentarsi prima alla commissione per un tentativo di conciliazione.

L’obiettivo della Cgil, conclude il vicesegretario Gibellini, è ottenere maggiori tutele per i collaboratori a progetto, in termini di copertura della malattia, ferie, pensioni e sostegno al reddito. «Per i co.co.pro. veri - sottolinea -, mentre per gli altri, che sono più della metà, si tratta di farli riconoscere come contratti di lavoro dipendente con vertenze individuali o collettive».

(23/11/2004)

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