Charlie Hebdo
vergognoso e patetico

Gli epigoni del Charlie Hebdo stanno rendendo un pessimo servizio ai martiri della rivista e della libertà di espressione. Lo avevamo già notato nelle edizioni successive alla feroce strage del gennaio 2015, il massacro che ci aveva fatto tutti quanti gridare indignati «Je suis Charlie».

Col primo numero della nuova edizione - salutata come il ritorno coraggioso di un periodico che testimoniava i sacri valori della nostra civiltà occidentale - il settimanale sedicente satirico aveva ritratto Papa Francesco come un animale, sbattendolo in copertina e infilandolo nella stessa muta di cani rabbiosi che insegue un cagnolino in fuga mentre tiene tra le mandibole il periodico. Nella muta si distinguevano uno jiadista infuriato, la leader del Front National Marine Le Pen e l’ex presidente Sarkozy. Un accostamento strampalato e del tutto fuori luogo. Avevamo stigmatizzato la cosa senza voler infierire troppo, pensando al sangue versato dei loro colleghi e maestri. Il sangue del direttore Stéphane Charbonnier e delle altre undici persone trucidate senza pietà pesava per sempre e imponeva rispetto. Bisognava adoperare un po’ di comprensione e perdonare.

Ma i numeri successivi erano andati di male in peggio. I nipotini di Charlie Hebdo avevano fatto satira persino sul bambino siriano Aylan Kurdi, annegato al largo di Bodrum, il cui corpo riverso sulla spiaggia è divenuto simbolo della tragedia dei migranti («se fosse sopravvissuto sarebbe divenuto un palpeggiatore», hanno avuto il coraggio di scrivere). Tutte vignette che di satirico non avevano nulla per due motivi: perché avevano oltrepassato tutti i limiti della decenza (anche la satira più trasgressiva e offensiva li ha) e soprattutto – lo avrebbe ammesso anche Voltaire –perché non facevano ridere. E quando qualcuno crede di far ridere senza riuscirci si può adoperare un solo aggettivo: patetico.

Forse gli eredi del Charlie Hebdo, quello vero, quello che aveva pagato un tributo inaccettabile di sangue alla libertà di satira, si sono fatti prendere la mano. Non riuscendo a far ridere, non essendo all’altezza dei loro predecessori in fatto di talento, hanno alzato l’asticella del cattivo gusto per cercare di uscire dal tunnel. Ed eccoci arrivati alla vignetta inaccettabile di ieri, dedicata al terremoto di Amatrice. Ritrae i morti del sisma, paragonati a dei piatti gastronomici, dove al sangue delle vittime si sostituisce del pomodoro. E si arriva a trasformare le vittime in besciamella di lasagne. Uno schifo. Un’indecenza mai vista. È così che si difende la libertà di espressione? Ironizzando sul sangue innocente dei morti, uomini, donne, anziani, bambini? È questo il modo di dimostrare la pretesa efficienza dei francesi sulle debolezze italiane in tema di prevenzione delle disgrazie ambientali? Se è così, ci sarebbe da sfilare per le vie di Parigi al grido di «Je ne suis pas Charlie Hebdo». Ma siamo sicuri che questo non è il sentimento di una nazione, dei nostri fratelli d’Oltralpe, ma semplicemente l’ennesima «trovata» grottesca per cercare di emergere dall’insuccesso.

I redattori si sono difesi affermando che si trattava di ironia sulla mancata prevenzione antisismica. Una giustificazione che aggiunge indecenza ad indecenza, dato che in Francia i rischi sismici sono di gran lunga inferiori a quelli italiani: si fa in fretta a fare della facile ironia quando non si è nelle condizioni di chi si prende di mira. Ironia, che, sia detto per inciso, ancora una volta non fa per niente ridere, provoca solo disgusto, anzi un senso di profonda pena. L’ultimo sentimento che ci rimane per definire il sedicente sarcasmo di Charlie Hebdo.

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