Fermare la vita
Niente di più pietoso

Per la prima volta nel nostro Paese un minorenne è morto per eutanasia»: così un giornale fiammingo ha dato la notizia che dei genitori hanno deciso di dare la «dolce morte» al loro figlio, malato terminale. È la prima volta che in Belgio si applica la legge del 2014 che consente ai genitori di chiedere l’eutanasia per i propri figli se affetti da malattia terminale e dopo aver fatto richiesta al medico curante, il quale deve sottoporre il caso e ricevere l’autorizzazione dal Dipartimento di controllo federale e valutazione dell’eutanasia.

La legge prevede che anche il minore debba esprime una qualche forma di consenso. E proprio questo suscita sorpresa e sconcerto: che un bambino chieda di morire. Forse perché i bambini sono immagine di vita, di speranza, di futuro e pensare che un bambino, seppur malato, non voglia più vivere ci addolora, ci preoccupa e ci interroga.

Abbiamo assistito in questi ultimi anni allo sviluppo di movimenti d’opinione a favore dell’eutanasia sull’onda di casi clamorosi, enfatizzati dai media, per i quali tutto diventa gesto pietoso e in qualche modo giustificabile. Ma come si può giustificare il voler dare la morte a un bambino? Cosa c’è di pietoso nell’interrompere una relazione di cura e d’amore che ti permette di continuare a sperare nonostante il male?

Sappiamo come la richiesta della morte da parte di un malato grave, di un anziano non autosufficiente è spesso una richiesta di aiuto, per essere liberato dal dolore, dalla paura dell’abbandono e della solitudine. A volte poi il desiderio di morire non rappresenta il frutto di una decisione libera e autonoma, ma è sintomo di uno stato depressivo e per questo andrebbe curato. Non sappiamo quali fossero le condizioni psicologiche del minorenne, ma se le terapie mediche potevano essere ancora efficaci o se un sostegno psicologico adeguato avrebbero potuto aiutarlo ad affrontare la malattia perché si è deciso per l’eutanasia? Perché interrompere volontariamente una giovane vita umana che può proseguire il suo corso? Viene da pensare che il ruolo dei genitori sia stato determinante e fortemente condizionante il parere espresso dal bambino. Se è così il presunto diritto all’eutanasia del bambino, previsto dalla legge in Belgio, altro non significa che attribuire ad un adulto il potere di vita e di morte su un minorenne.

Già è difficile pensare che nel concetto di libertà personale rientri anche il diritto a darsi la morte, come prevede il suicidio assistito, ma è sconcertante pensare che dei genitori vogliamo la morte del proprio figlio quando esiste la terapia del dolore e le cure palliative che consentono una vita dignitosa anche nelle fasi finali. Se la medicina moderna ha gli strumenti per togliere il dolore e l’affetto e la cura dei propri cari possono lenire l’angoscia del distacco perché cedere all’eutanasia, forse perché non sappiamo più dare un senso alla sofferenza e alla morte?

Ma il senso è già lì nella relazione d’amore che ci unisce, genitori e figli, fratelli e amici, medici e pazienti, una relazione così forte che neppure la morte potrà interrompere.

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