Governo troppo lento
contro la povertà

Il 9 marzo il Senato ha approvato una legge delega, di iniziativa del governo, in tema di contrasto della povertà, riordino delle prestazioni assistenziali e sistema degli interventi e dei servizi sociali. Si tratta di una legge molto attesa, che dovrebbe portare gradualmente all’introduzione di una misura universalistica, ancorché selettiva, di contrasto alla povertà, colmando così una lacuna storica del nostro sistema di protezione sociale. La novità va dunque salutata con sicura soddisfazione, cui però far seguire alcune cautele. Anzi tutto si tratta di una legge delega, la cui portata prescrittiva consiste nel vincolare un successivo potere normativo, mediante decreti legislativi, del governo.

Il governo ha tempo 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, per approvare i relativi decreti. I tempi sono stretti. Il mancato esercizio della delega comporta solo responsabilità sul piano politico. La prudenza è consigliata anche da un precedente. Già la legge 328/2000 prevedeva l’istituzione del reddito minimo di inserimento (art. 23) e la delega per il riordino degli emolumenti assistenziali (art. 24). Non è dunque la prima volta che si tenta di pervenire a questo esito. Allora ci fu un cambio di maggioranza politica e il nuovo governo di centro-destra, presieduto da Berlusconi, lasciò affossare il tutto.

Ciò che lascia oggi aperto uno spiraglio all’ottimismo è, da un lato, paradossalmente, la debolezza del consenso goduto presso le forze politiche dal governo Gentiloni, che vede in questo provvedimento uno strumento di radicamento diretto del suo appeal presso gli elettori. D’altro lato, non va dimenticato che questa legge, pur nascendo da un’iniziativa del governo, è stata condotta, sin dall’inizio, sotto l’impulso di una significativa alleanza di formazioni sociali.

L’Alleanza contro la povertà – così si chiama – si è costituita nel 2013 e raggruppa soggetti sociali e istituzionali decisi a contribuire alla costruzione di politiche pubbliche contro la povertà assoluta nel nostro Paese. L’Alleanza ha perfino elaborato una proposta di riforma, per l’introduzione del Reddito d’inclusione sociale (Reis), che costituisce la prospettiva di riferimento di questa legge delega. L’oggetto fondamentale della delega al governo è infatti «l’introduzione di una misura nazionale di contrasto della povertà, intesa come impossibilità di disporre dell’insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso, e dell’esclusione sociale; tale misura, denominata reddito di inclusione, è individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale». Si tratterebbe dunque di introdurre, a regime, una misura di protezione dalla caduta nella povertà assoluta, definita dallo Stato, perché qualificata come «livello essenziale», da garantire pertanto omogeneamente su tutto il territorio nazionale. Contestualmente, per recuperare e razionalizzare risorse, si procede con il riordino delle prestazioni esistenti di natura assistenziale, moltiplicatesi in modo frammentario e categoriale. Il reddito di inclusione consisterebbe nell’intervento sinergico di un beneficio economico, che tenga conto dell’effettivo reddito disponibile e di indicatori della capacità di spesa, e di un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato alla auto-promozione del beneficiario. E tuttavia questo è il traguardo, preannunciato con una gradualità molto lenta, comprensibile, ma forse fin troppo cauta. Il rischio, leggendo la legge delega, è che, almeno nelle prime concretizzazioni, nessun vero nuovo diritto sia garantito. I primi beneficiari dovranno essere nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione. Anche il quadro delle risorse stanziate non è confortante, posto che la legge si muove nei limiti delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, senza che siano previsti nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Insomma, un semino, nella speranza che attorno vi sia terra buona perché germogli.

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