Grande gesto umano
Ora tocca all’Europa

Ha tagliato la rete, ha spezzato il filo spinato, ha scardinato la Fortezza Europa. Jorge Mario Bergoglio ha aperto il primo corridoio umanitario europeo. Tecnicamente è il primo capo di Stato europeo a farlo. Quando l’aereo dell’Alitalia ha staccato le ruote dalla pista dell’isola di Lesbo con a bordo il Papa e tre famiglie, dodici persone, dodici profughi con diritto di asilo, è scoccata l’ora per l’Europa immemore e il gesto di Papa Francesco, pur simbolico, ha inchiodato alle sue responsabilità ogni Stato e ogni premier.

Il Pontefice non poteva essere più efficace e quell’aereo in volo sulla frontiera blindata del Mediterraneo ha scompigliato la localizzazione del rifiuto e ha polverizzato l’accordo scellerato tra l’Unione e la Turchia, quello dei sei miliardi di euro per chiudere a doppia mandata la Fortezza di Bruxelles. Chi si ricorda più che l’Unione Europea nel 2012 ha avuto il premio Nobel per la pace? Papa Francesco, insieme alle Chiese cristiane di Grecia e al Patriarca ecumenico di Costantinopoli, il vescovo Hieronymos e il patriarca Bartolomeo, ha suonato la sveglia sui diritti. Poco più di un simbolo, ma che conta in modo potente, come accade per i segni. Ha richiamato gli Stati alla responsabilità e non solo alla solidarietà, perché la carità non rappresenta di solito una soluzione politica. Serve, aiuta, ma la differenza la fa la responsabilità dei governi, indispensabile per annientare la globalizzazione dell’indifferenza.

Bergoglio ieri ha parlato e ha agito. La missione a Lesbo aveva carattere umanitario, profondamente religioso con risvolti ecumenici, ma alla fine è risultato un profondissimo gesto politico, che ha messo in chiaro molte cose. E la prima è che il diritto di asilo, così come è stato concepito dalla Convenzione di Dublino non funziona. La responsabilità di ogni singolo Stato viene annientata dalle paure e dalle convenienze politiche, come sta accadendo per il muro del Brennero. Dovrebbe essere regolato e gestito direttamente da Bruxelles. Così come i corridoi umanitari. Invece non accade e allora occorre che un piccolissimo Stato come lo Stato della Città del Vaticano, si inventi qualcosa per bussare al cuore degli Stati e dell’Unione. E dica con lettere cubitali che non si amano le idee, ma le persone. Questo è stato il senso più compiuto della missione a Lesbo. Ha dato significato al valore della pace e ha spiegato come l’Europa può onorare quel premio Nobel.

Finora è stata la paura a dettare le regole. E la paura non ha permesso di guardare negli occhi le persone. La pace invece ha bisogno di altro per essere l’inizio di un futuro diverso. Le risorse ci sono, l’Europa le ha se guarda alle sue spalle, agli uomini che l’hanno costruita. L’Europa almeno dovrebbe saperlo più di ogni altro continente per via di due guerre mondiali e della tragedia della Shoah, consumate qui. L’Europa potrebbe diventare il «buon samaritano» del mondo, come ha implorato ieri Papa Francesco. La missione di Lesbo ha insegnato come si può andare in direzione contraria, ostinatamente, come si può fare la differenza sulla comprensione dei conflitti e la loro soluzione. Se gli Stati dell’Unione continuano ad armare eserciti e varie guerriglie, in modo legale o illegale, non possono favorire al contempo le trattative per la loro soluzione, perché alimentano la speranza di chi vuole comunque vincere. E una guerra che si spera di vincere non finisce mai. Il conflitto siriano e quelli attorno hanno questo esatto e perfetto destino. Il viaggio, segnato dalla tremenda tristezza, di ieri nell’Egeo è l’ultimo avviso all’Unione.

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