I due forni di Renzi
Andreotti docet

Intorno al decreto salva-banche, al cosiddetto «caso Boschi» e, in precedenza, alla elezione dei tre nuovi giudici costituzionali si sta giocando una importante partita politica dagli esiti ancora non scontati. Intanto una premessa: Maria Elena Boschi non è una ministra qualunque, non è un personaggio sacrificabile a cuor leggero da parte del presidente del Consiglio. Si chiama Boschi infatti la riforma costituzionale che in gennaio, dopo il lungo iter parlamentare, dovrebbe vedere la luce e che Renzi vuole sottoporre al giudizio diretto degli elettori quale prova conclamata del rapporto tra gli italiani e il suo governo. Renzi, come è noto, vuole scavallare la collina delle prossime elezioni amministrative primaverili negando al test un valore politico nazionale (anche perché sa che i pronostici attualmente non sono buoni) e rimandando il giudizio elettorale al referendum confermativo sulla modifica della Costituzione.

La Boschi dunque che non può essere eliminata dalla scena politica senza recare con ciò un danno gravissimo al governo. Naturalmente questo non avverrà mediante la mozione di sfiducia individuale presentata dai grillini: tutto il Pd, compresa la minoranza, difende compattamente la parlamentare di Arezzo e Forza Italia ha già detto che, non condividendo lo strumento adottato dal M5S, non parteciperà al voto. Così facendo, anche al Senato l’esito è scontato. Però di qui a poco potrebbero accadere altri fatti, in quel di Arezzo, da rendere più complicata la presenza in consiglio dei ministri della titolare delle Riforme, e allora sarebbero guai.

Con questa consapevolezza, Matteo Renzi sta muovendo le sue carte cercando di mettere il più possibile al riparo se stesso, la Boschi e l’intero governo da possibili bufere di varia natura. Il primo obiettivo è ridurre al silenzio quella parte di Forza Italia che non perde occasione per andare all’attacco del Pd, per cancellare anche solo dalla memoria i tempi del «Patto del Nazareno» e per consolidare l’asse con Matteo Salvini accettandone anche la trazione leghista (nella rassegnata consapevolezza che, tra Berlusconi e Salvini, l’anagrafe ha comunque un certo peso). Questa corrente forzaitalista trova un capofila in Renato Brunetta. E dunque lo schiaffo che Renzi ha dato a Forza Italia accordandosi con i grillini per eleggere dopo decine di fallimenti i tre giudici costituzionali ed estromettendo un berlusconiano dal collegio della Consulta, serviva esattamente a far cadere nella fossa tutti quelli che la pensano come Brunetta e che ora sono accusati di aver silurato un candidato come Francesco Paolo Sisto, berlusconiano al di sopra di ogni sospetto ma anche uomo del dialogo con Renzi. Non a caso il premier in aula ha usato parole persino violente contro il capogruppo di FI (nei confronti del quale del resto non è difficile perdere la pazienza): ora la sconfitta sui giudici dentro Forza Italia viene sostanzialmente addebitata proprio al focoso professore, tant’è che ieri sera non si contavano le invocazioni a Berlusconi perché lo sostituisca in quel ruolo.

Non solo. Renzi ha detto ai suoi di rispondere con messaggi possibilisti alla profferta grillina di collaborare sulla annunciata riforma del sistema creditizio, circostanza che ha fatto ancor di più alzare le antenne di Arcore. Tutto questo dimostra che il premier sa usare con scaltrezza e spregiudicatezza la vecchia politica andreottiana dei due forni: quando da una parte il pane è troppo caro, si cambia negozio per ottenere uno sconto. L’obiettivo infatti è quello di ammorbidire Forza Italia, non certo di fidanzarsi con i seguaci di Grillo. Dal punto di vista di Palazzo Chigi la mozione di oggi conta poco rispetto ai tempi duri che potrebbero venire e che necessiteranno in Parlamento di numeri e solidarietà più ampie.

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