Il «Cav» apre a M5s
Salvini non chiude

Domani mattina la Camera e il Senato si riuniranno per la prima volta nella diciottesima legislatura per eleggere i rispettivi presidenti. Fino all’ultimo non sapremo come andrà a finire dal momento che c’è ancora molto tatticismo nelle trattative tra i partiti, però qualche elemento in più ormai lo abbiamo, soprattutto dopo il vertice del centrodestra di ieri. Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sono accordati su una linea che porta ad eleggere un grillino alla presidenza della Camera e un esponente del centrodestra al Senato. Sulla base di questo assunto, la principale coalizione del nuovo Parlamento vuole avviare da subito i colloqui con le altre forze politiche per arrivare ad un accordo più largo possibile: l’intenzione è di offrire le vicepresidenze delle assemblee ai partiti che non partecipino alla spartizione delle due poltronissime (successe già nella scorsa legislatura quando, ad esempio, il Pd votò Di Maio a numero due della Camera).

Da questa offerta però il Pd si è subito tirato fuori: non accettiamo incontri che abbiano un finale precostituito, hanno detto da via del Nazareno e questo fa pensare che i dem non voteranno a favore dei candidati che verranno presentati. Ma, come si sa, le cose in politica accadono anche all’ultimo secondo utile, e dunque non è detto che i democratici si astengano da qualunque do ut des. Anche perché non va dimenticato che le procedure di elezione dei presidenti sono diverse tra Camera e Senato: mentre a palazzo Montecitorio serve sempre la maggioranza assoluta, al Senato si arriva al ballottaggio già alla quarta votazione. Di conseguenza, alla Camera i grillini hanno bisogno dei voti favorevoli degli altri gruppi, mentre al Senato il centrodestra deve raggiungere una maggioranza semplice.

La questione che non sembra ancora del tutto risolta è chi del centrodestra possa ambire a divenire il successore di Piero Grasso. È noto che Salvini avrebbe voluto quella poltrona per uno dei suoi, almeno questo aveva dichiarato, ma Berlusconi si è mostrato decisissimo ad imporre il nome di un azzurro: Paolo Romani, capogruppo uscente di Forza Italia, è il nome preferito; a lui si potrebbero aggiungere sia Maria Bernini sia Maurizio Gasparri (che è stato per anni vicepresidente dell’Assemblea). È probabile che alla fine il Cavaliere la spunterà: non a caso ieri al vertice è stato ufficializzato il candidato alla presidenza della Regione Friuli, ed è il leghista Fedriga che scavalca l’azzurro Tondo indicato solo pochi giorni fa. Un segnale che la trattativa sta avendo i suoi frutti. Ma Romani non avrà i voti dei Cinque stelle, contrari a votare chi abbia un procedimento giudiziario in corso (l’esponente berlusconiano è sotto inchiesta per l’uso privato del telefonino del comune in cui era assessore) ma questo non rileva granché proprio per il meccanismo di elezione di cui abbiamo già parlato e che non richiede la maggioranza assoluta.

Quanto di tutto questo movimento prefigura l’esito delle trattative per il nuovo governo? Chissà. Certo segna un avvicinamento tra centrodestra (tutto a questo punto, non solo la Lega) e M5S. Ieri Berlusconi sembra aver tolto il veto a dialogare con Di Maio – che solo qualche giorno fa avrebbe voluto prendere a calci – per un governo «di programma» probabilmente limitato nel tempo. Salvini potrebbe aver ceduto sul Senato proprio in cambio di questa apertura: che tuttavia non sappiamo quanto durerà.

Come si vede siamo ancora abbastanza in alto mare anche se forse – lontana lontana – si incomincia a intravedere la terraferma.

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