In arrivo la resa
dei conti a sinistra

Per fortuna di Matteo Renzi, il Partito democratico ai ballottaggi è riuscito a vincere a Milano. Se anche la «capitale morale» fosse caduta nelle mani degli avversari oggi la scena politica sarebbe completamente diversa e ben più compromessa. Milano, difesa con grande fatica da Beppe Sala di fronte all’offensiva efficace di Stefano Parisi, «copre» infatti un risultato generale delle amministrative che per il Pd è negativo ben oltre ciò che il presidente del Consiglio, con encomiabile franchezza, è pur disposto ad ammettere.

Le amministrazioni di centrosinistra sono infatti cadute come birilli: nei capoluoghi di provincia, da ventuno che erano, ne restano sei; tra i Comuni superiori a quindicimila abitanti erano settanta, ora arrivano a quarantadue. Tutto ciò vuol dire che il Pd, pur rimanendo il partito più consistente sparso sul territorio, vede drasticamente ridotta la propria base elettorale erosa da un voto di protesta, che chiede cambiamenti, esige «il nuovo» e pretende risultati concreti nell’economia.

La sconfitta a Roma era in qualche misura già scontata, come l’esclusione a Napoli dal ballottaggio era messa tra le cose possibili. Ma la caduta di Torino e di un sindaco come Fassino unanimemente stimato e capace, e persino la difesa stentata di Bologna oltre alla perdita di Trieste, sono tutti elementi molto preoccupanti per il premier-segretario e il suo partito. Metà del quale è pronto adesso a chiedergli il conto: la minoranza vede frantumarsi quello scudo costituito dal 40 per cento di voti conquistati da Renzi alle europee di due anni fa e finalmente si appresta a colpire il suo avversario che continua a considerare, per usare una parola cara a Massimo d’Alema, «un abusivo». La resa dei conti comincerà alla riunione di direzione e la sinistra chiederà a Renzi la rinuncia al doppio incarico, e dunque le dimissioni da segretario, e la modifica dell’Italicum. Ma più in generale pretenderà che il programma riformatore del governo cambi completamente segno e viri verso sinistra per riconquistare una base elettorale che si è rivolta altrove o, nella migliore delle ipotesi, si è rifiutata di votare.

Il premier non è disposto ad accettare nessuna di queste condizioni, e dunque vedremo se e come sarà possibile arrivare ad un compromesso. Che pure è indispensabile perché alle porte del Pd torna a bussare un avversario tornato temibile: quel Movimento Cinquestelle che ai ballottaggi si è dimostrato capace di attrarre voti da ogni parte, da destra e da sinistra, dai quartieri signorili come dalle periferie più disagiate, e di espugnare Roma, Torino, Carbonia e almeno diciassette Comuni più piccoli. Una vera e propria «macchina da ballotaggio», insomma che potrebbe rivelarsi micidiale nel momento in cui si andasse a votare con i meccanismi dell’Italicum dove, al secondo turno, l’elettorato, sia grillino che di centrodestra, può unirsi per battere il comune nemico democratico e renziano. Il rischio è che questo sistema politico tripolare che si va consolidando in Italia significhi che nella partita decisiva combattono in due contro uno che pure pensava di avere una vocazione maggioritaria.

Anche il centrodestra ha dimostrato vitalità: come insegna Milano (e per la delusione di Salvini) il popolo moderato non è sparito, anzi. E aspetta solo una proposta accettabile per «tornare a casa» e rendere la propria parte politica di nuovo protagonista. Per concludere: questo turno amministrativo che ha punito il Pd di Renzi, premiato il Movimento Cinquestelle e indicato una strada al centrodestra, è stato come una prova generale delle elezioni politiche. Occorrerà che se ne tenga conto, e in fretta, da parte di tutti.

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