Intesa su Generali
e la parte del leone

Nella complicata operazione in corso tra Intesa e Generali sono molte le cose non dette e fortissime le componenti tattiche che condizionano questo risiko finanziario, il cui esito è ancora tutto da prevedere. Almeno finché non verrà lanciata una vera e propria Ops che, per definizione, dovrebbe essere una iniziativa trasparente e comunque esplicita. Offerta che, a seguito della mossa difensiva di Generali, dovrebbe riguardare per legge il 60% del colosso triestino, un valore enorme.

È in gioco una parte molto rilevante dell’intero sistema finanziario nazionale, con qualche inquietante ricaduta internazionale, perché ai vertici di componenti chiave di questo affare, vi sono importanti manager guarda caso tutti di nazionalità francese. Il che può non significare nulla, ma qualche sospetto lo ha alimentato, visto che la Francia in 10 anni si è comprata aziende italiane per circa 50 miliardi di valore e l’Italia ha fatto shopping oltre Alpe per soli 7,6 miliardi. È strano, allora, che Generali non abbia dato segni di nervosismo quando si parlava di una scalata da parte del gruppo francese Axa e lo abbia fatto invece quando a muoversi è stata Intesa, che ora segnala come suo successo il fatto di aver bloccato le aspirazioni di Parigi sul Leone di Trieste, oggi guidato proprio dall’ex numero uno di Axa, Philippe Donnet.

Per capire l’importanza di ciò che è in gioco, teniamo presente che l’operazione risparmio gestito potrebbe valere alla fine circa 844 miliardi di euro, una cifra simile a quella dell’intera spesa pubblica dello Stato, per i parametri italiani qualcosa di gigantesco. Oltretutto, si tratta di una massa che riguarda quasi il 45% del tesoretto privato di milioni di italiani, sia pur mescolato con importanti apporti stranieri.

E sappiamo che il risparmio privato è oggi l’unico contrappeso (psicologico) importante rispetto all’enorme debito pubblico e anche il motivo per cui è ancora tollerata la crescita costante di quest’ultimo. E comunque non è in gioco solo il risparmio gestito (il cui valore per una banca è decisivo, in tempi di interessi piatti), ma ovviamente il business delle assicurazioni, di cui Generali è un campione nazionale di taglia considerevole, al terzo-quarto posto in Europa, cosa rara per le imprese italiane.

La rete Intesa potrebbe essere un formidabile punto di appoggio per la proposta assicurativa, ma se il boccone fosse troppo grosso potrebbe anche avvenire che il ramo assicurativo finisca per sposare un partner tedesco, il colosso Allianz. Con altri problemi connessi, perché il marchio tedesco, farebbe lui la parte del Leone.

Ma questo vero e proprio gioco del Monopoli tutt’altro che virtuale, prevede un quadro complessivo ancor più ampio, perché potrebbero a loro volta modificarsi gli equilibri tra i soci di riferimento dei due attori principali. C’è di mezzo l’ex salotto buono della finanza nazionale, Mediobanca, primo azionista di Generali, con Unicredit (anch’esso a guida manageriale francese) tentato di vendere (a chi?) il suo pacchetto per irrobustire il proprio capitale.

Senza rincorrere tutto questo nel labirinto dei rapporti incrociati, ringraziamo intanto che esista da qualche anno una legge che li regola, altrimenti avremmo avuto le stesse persone nel ruolo di compratori e venditori. Limitiamoci quindi a valutare questo garbuglio in un’ottica più di mercato e di interesse nazionale. Niente di male se la grande finanza muove le sue pedine. Importante è che non ci vada di mezzo il piccolo risparmiatore e per il momento la Borsa dà buoni segnali, anche perché un punto cardine dell’azione Intesa sarà il mantenimento di elevati dividendi per gli azionisti. Se mai la preoccupazione è che una banca chiave del sistema italiano, quale è Intesa San Paolo, faccia un passo compatibile con le sue forze. L’operazione è bella ma non deve mettere a repentaglio l’equilibrio del più grosso gruppo di credito nazionale.

Carlo Messina su questo è stato chiaro: se l’operazione costasse troppo, meglio non farne niente (Generali vale 42 miliardi). Il sistema d’impresa e familiare che dipende dalla capacità di finanziamento di Ca’ de Sass non ha bisogno di un gigante, ma di una capacità dinamica che crea valore. E poi c’è l’interesse nazionale a non dipendere troppo dai gruppi stranieri in settori strategici. Vero è che bisogna capire una volta per tutte che l’Europa è il nuovo cortile di casa e che anzi lo sguardo deve essere ancora più ampio, Trump permettendo, ma come ha detto proprio Messina, meglio che a difendere l’italianità sia qualcuno di lingua madre italiana.

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