La Libia è sicura
Ignoranza o finzione?

Ma davvero la Libia può essere considerata la soluzione, come dicono alcuni esponenti politici e di governo, o non è invece parte del problema migratorio? Se la risposta è la prima significa non conoscere le condizioni in cui versa quel povero Paese, dilaniato politicamente e impoverito da conflitti mai sopiti a partire dal 2011. Forse è bene ricordare che in quell’anno Francia, Gran Bretagna e Usa (questi ultimi sebbene un po’ riluttanti) con l’Italia al seguito scatenarono raid aerei per abbattere il regime di Gheddafi, quello stesso Gheddafi che solo qualche mese prima veniva accolto nelle capitali europee con il suo codazzo. A spingere per il cambio fu soprattutto Parigi, con l’obiettivo ufficiale di innescare una primavera araba anche in Libia. Le motivazioni non ufficiali di tanta foga sono invece da ricercarsi altrove: il raìs di Tripoli infatti in quei mesi aveva deciso di soppiantare il franco francese africano con una nuova valuta panafricana e di rivedere gli accordi petroliferi con la Francia. Per non parlare dei finanziamenti (almeno 20 milioni di dollari) alla campagna elettorale già dal 2007 di Nicholas Sarkozy. Nel rapporto tra il presidente francese e Gheddafi in seguito qualcosa si è rotto e il regime pagò con le bombe.

Ma questa è materia per i tribunali (il finanziamento illecito, per il quale Sarkozy è indagato) e per gli storici. La cronaca, affidata a un recente rapporto delle Nazioni Unite, dice invece che oggi in Libia «la situazione è insostenibile. Il Paese è in declino: il collasso dell’economia, il crollo dei servizi pubblici, più frequenti e intense esplosioni di violenza. Un Paese nel quale i terroristi dell’Isis sono in agguato, i criminali sfruttano i migranti, i mercenari stranieri sono in aumento, l’industria petrolifera è in pericolo, dovrebbe essere preoccupazione di tutti». Ma non lo è, perché il multilateralismo (che per la verità non ha mai goduto di salute robusta) è stato soppiantato dai nazionalismi e dai sovranismi: ognuno per sé. E invece la Libia avrebbe bisogno di un intervento corale. Il governo Serraj, riconosciuto dall’Onu e appoggiato dall’Ue, fatica a controllare Tripoli, l’entità rivale capitanata dal generale Haftar gioca una partita in solitaria con l’apporggio di Egitto e Turchia e le milizie dominano intere regioni. Formazioni che si ispirano ad Al Qaeda hanno ottenuto riconoscimento politico. Tra le zone non sicure c’è la Tripolitania, da dove partono gommoni e imbarcazioni di migranti diretti in Europa. Il coordinamento della gestione dei flussi ora compete unicamente alla Guardia costiera di Tripoli, che ha qualche problema....

Il nostro ministro dell’Interno Matteo Salvini considera la Libia «porto sicuro» mentre l’omologo agli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, è di parere opposto, perché il Paese africano non ha ratificato la convenzione internazionale per i diritti fondamentali e la piena dignità di trattamento dei migranti e perché la Corte europea ritiene che la Libia non sia appunto un porto sicuro. A suffragare la posizione di Milanesi, un altro rapporto choc dell’Onu, per il quale «il sistema di detenzione dei migranti (oltre 19 mila, ndr) in Libia è marcio, senza alcuna possibilità di soluzione». Stupri, torture, omicidi, carenze sanitarie e alimentari sono all’ordine del giorno. «La sofferenza di queste persone - conclude il rapporto - è un oltraggio alla coscienza dell’umanità».

Chiudiamo con una domanda (per noi retorica): il sito viaggisicuri.it della Farnesina, dopo aver elencato i gravi problemi dello Stato, «ribadisce l’invito ai connazionali a non recarsi in Libia, e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione dell’assai precaria situazione di sicurezza». Se il giudizio vale per un cittadino italiano, perché non dovrebbe valere per un migrante?

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