La rete aiuta a vincere
ma non fa governare

Alla crisi economica e sociale esplosa tra il 2007 e il 2008, negli ultimi anni si è accompagnata nel nostro Paese una profonda crisi della democrazia rappresentativa. Il dilagare, cioè, della corruzione in politica e nelle istituzioni, in presenza di partiti non più in grado di garantire una costante e proficua mediazione tra lo Stato e la società civile. Da qui l’insorgere di fenomeni come l’astensionismo di massa e populismi vari sospinti dal desiderio di restituire potere a cittadini non più rappresentati da partitocrazie corrotte e obsolete. In questo clima

In questo clima è maturata la prorompente affermazione del Movimento 5 Stelle, che ha ottenuto successi elettorali notevoli sul piano politico e amministrativo, introducendo una forma di «democrazia diretta digitale» attraverso un «blog» gestito da Gianroberto Casaleggio, recentemente scomparso, e da Beppe Grillo. Ma proprio da questi successi del movimento, in particolare da quello che ha portato all’elezione plebiscitaria di Virginia Raggi a sindaco di Roma, stanno emergendo i grandi limiti di un sistema democratico fondato sulla «centralità della Rete».

Gli ostacoli incontrati dalla Raggi nel dare corpo ad una giunta in grado di governare la città, le divisioni interne dei pentastellati sulle scelte da attuare e le continue e non sempre coerenti mediazioni di Grillo, stanno evidenziando chiaramente che la Rete può aiutare a vincere, ma non fa governare. La Rete si propone, in buona sostanza, come un’assemblea globale perennemente riunita, in cui si discute e ci si accapiglia, ma nella quale si arriva con grandi difficoltà a decisioni concrete. Quando ciò avviene, non vengono quasi mai considerate le ripercussioni delle scelte operate, aspetto questo che pone seri problemi quando si governa e si deve necessariamente coniugare autorità e responsabilità. Il dilemma con il quale il sindaco di Roma dovrà costantemente confrontarsi è che ogni qual volta si sentirà obbligata, per senso di responsabilità, a prendere decisioni nell’interesse della sua città, se queste contrasteranno con i dictat della Rete, si porrà automaticamente al di fuori del movimento e delle sue regole. Regole fondate sull’uguaglianza assoluta di rappresentanti e rappresentati - uno vale uno - che impongono agli eletti in Parlamento o nelle amministrazioni locali di limitarsi ad applicare le decisioni della Rete.

In tutto ciò si evidenzia una strana miscela di «modernità internettiana» e di «archeologia politica» che si rifà, nella sostanza, a Rousseau, per il quale gli eletti non erano i rappresentanti del popolo, ma solo i suoi «commissari», privi di volontà e iniziativa politica. L’idea di Grillo è che tutto ciò che in passato si è rivelata un’utopia - cioè la possibilità di ricondurre il potere direttamente al popolo - sia diventato finalmente realizzabile attraverso la Rete. L’esperienza concreta, però, rende ciò assai poco credibile, perché con la Rete finisce con l’essere protagonista un popolo senza volto, che rischia di essere sostituito dai gruppi di militanti più attivi e, in ogni caso, da minoranze. Da questa complessa situazione il M5S dovrà prima o poi uscire, pena la sua implosione, assumendosi anch’esso tutte le responsabilità della democrazia rappresentativa, magari promuovendo il massimo di trasparenza e di controllo popolare attraverso la Rete.

Se la democrazia consiste nel dare voce ai sentimenti popolari, nell’incanalare anche la protesta attraverso il voto, va detto che il M5S ha egregiamente svolto fino ad oggi questa funzione. Ma le prime importanti responsabilità di governo pongono in grande evidenza la necessità che a capo del Movimento vi sia un leader eletto, quindi contendibile, e non «assoluto». Inoltre, che tutti gli eletti in Parlamento e nelle amministrazioni locali si comportino non semplicemente da cittadini «eterodiretti», ma da «rappresentanti dei cittadini», consapevoli delle responsabilità che derivano dal proprio ruolo e dal mandato ricevuto. Quest’auspicabile svolta da parte del M5S potrebbe rappresentare anche un forte stimolo per pervenire a quella radicale riforma dei partiti di cui si parla da tempo. Suo scopo dovrebbe essere quello di realizzare una trasparente vita democratica interna agli stessi, per porli in grado di riprendere legami più efficaci e continui con la società civile, indispensabili per un salutare rinnovamento della stessa democrazia rappresentativa.

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