L’Italia in ripresa
Quali priorità

Anche i numeri possono diventare opinioni, se serve, e in campagna elettorale serve. Si spiega così il fatto che, a fronte degli stessi dati, c’è chi parla di ripresa e chi di disastro. La cosa peggiore è che, se prevale l’emotività, perdono rilievo le cose davvero più importanti: sia quelle che vanno bene (dato Istat di ieri: occupazione a novembre sopra i massimi del 1977), sia quelle che vanno male. Grandi dibattiti sui sacchetti della verdura, ma nessuno che protesta in piazza per il macigno del debito, la produttività ferma ad inizio secolo, le resistenze corporative alla concorrenza, le agevolazioni fiscali (76 miliardi) ai settori protetti.

Per non dire dei Tar bloccatutto, adorati dalla politica del no. E allora scatta una campagna elettorale già drogata, e ogni giorno arriva una promessa a carico della spesa pubblica. L’ultima, perdonabile solo per l’improvvisazione di un politico neofita, è quella dell’abolizione delle tasse universitarie ai ricchi, visto che ai meno abbienti sono giù applicate forti riduzioni. Naturalmente, chi vuole proporsi come novità, cerca di dare la rappresentazione di un fallimento, di ingiustizie e privilegi, di invasioni migratorie, di miseria dilagante. Tutto sarà risolto distribuendo miliardi virtuali di redditi garantiti, tagli fiscali, pugni sul tavolo europeo.

È per questo mix di illusioni e frustrazioni che il Censis ha descritto un Paese pervaso dal rancore, come verifica chiunque frequenti il web, o più semplicemente la tv dei talk show, che danno voce ad un’Italia dolente, ricca di casi umani al limite e di piazze schiumanti rabbia. Eppure, proprio il Censis ha rielaborato dati Istat, Bankitalia e Infocamere, facendo notare che nei 5 anni intercorsi dal 2012, il Pil è passato da -2,8 a +1,6, totale +4,4, forse di più, e la ricchezza reale, cioè al netto della (bassa) inflazione, è cresciuta di 72 miliardi. Il Pil procapite è salito di 379 euro nonostante la crescita di oltre un milione di residenti. I consumi sono cresciuti dal -4 a un +1,7, con una crescita del 5,7. Poco rispetto al resto dell’Europa, ma il tunnel sembra finito. Anche i dati Istat più recenti confermano il trend: nell’ultimo trimestre 2017 il potere d’acquisto delle famiglie è salito quasi dell’1%, mentre il reddito disponibile è salito dello 0,7, la propensione al risparmio ancora dello 0,5. E comunque se prendiamo il Pil dell’ultimo biennio, la Lombardia e il Nord Est (+2,5), ma persino il Sud (+2,4) sono cresciuti più della Francia (+2,3). Sorpresa: più della Germania (+3,7) sono cresciute Campania (+4,9), Basilicata (+9,2 conta qualcosa l’effetto Fiat), Molise (+4,9).

Il London Exchange Group ha descritto il fenomeno del boom delle piccole e medie imprese italiane come stupefacente. Sulle 1.000 migliori pmi europee, le 110 italiane in classifica hanno aumentato il fatturato del 219%, contro la media 100% dei 38 paesi Ue. Abbiamo anteposto questi dati ad altri ancora più eclatanti, talora quasi «cinesi»: il nostro export che nei primi 9 mesi 2017 è cresciuto dell’8% (Germania +6, Francia +4) o quelli del settore macchinari, che fatturano l’8,2% in più rispetto ai massimi del 2008. Lasciamoli pure in secondo piano, perché possono riguardare settori fortunati, non la generalità, e molti non si riconoscono nel confronto tra dati statistici e propria condizione individuale. Ma consumi e reddito pro capite, Pil, occupazione in ripresa, toccano tutti. Per risolvere, e non solo rappresentare, problemi ancora importanti, non è questione di ottimismo o pessimismo, ma di mettere in fila le priorità vere, che richiedono proposte serie, non 200 miliardi di sogni. Esempi: che si fa - dopo 5 anni di tassazione ferma - della sterilizzazione dell’aumento Iva? Per consolidare il lavoro, meglio l’antico articolo 18 o i contratti a tutela crescente? I risparmi pensionistici della legge Fornero possiamo davvero cancellarli? E soprattutto: ora che Draghi chiuderà i rubinetti del Qe, riusciremo a controllare (e come? risposte precise, please) costo del denaro, inflazione e debito pubblico? Sta alla politica decidere – e agli elettori giudicare - se sono questi i problemi veri, o se dobbiamo andare avanti fino a marzo a parlare dei sacchetti dei supermercati.

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