L’Italia instabile
fa paura a tutti

Più passano le ore e più si complica il lavoro di Sergio Mattarella. Il capo dello Stato convocherà lunedì i partiti in un rapidissimo giro di consultazioni per mettere la parola «fine» ai mille balletti tattici che hanno impedito in questi due mesi che si formasse un governo. Mattarella chiederà a ciascuno di dire definitivamente e chiaramente la propria posizione e poi – hanno fatto sapere le fonti ufficiose del Colle –assumerà lui una iniziativa. Che vuol dire: preso atto che nessuno, né la coalizione più forte né il maggior partito, può garantirgli di avere i numeri per ricevere la fiducia di entrambe le Camere, incaricherà una persona di sua fiducia (il presidente della Corte Costituzionale o il presidente del Consiglio di Stato o il governatore della Banca d’Italia) di formare un governo e lo manderà di fronte al Parlamento facendo appello al senso di responsabilità delle forze politiche verso un Paese che non può più stare senza un esecutivo nel pieno delle proprie prerogative.

Il problema è che, sapendo di questa intenzione del Quirinale, i due «vincitori senza vittoria», Lega e Movimento Cinque Stelle, hanno fatto subito barriera. Salvini ha perentoriamente posto la sua candidatura per un incarico «al buio» che dovrebbe formare una maggioranza coi grillini e portare alle urne in pochi mesi, diciamo dicembre, dopo aver fatto la riforma elettorale e impedito l’aumento dell’Iva: tutti sanno che è un’impresa destinata a fallire perché ormai Di Maio guarda solo alle elezioni anticipate. Il capo grillino, fallito l’obiettivo di andare a Palazzo Chigi, è già in campagna elettorale, ha dismesso la livrea ministeriale, è tornato agli slogan di piazza e ora reclama l’apertura delle urne già per il 24 giugno (tecnicamente impossibile) bollando come «traditori del popolo» coloro che dovessero aderire ad un governo «di tregua» promosso dal presidente della Repubblica. Quanto a Salvini, la risposta sprezzante che arriva dal Movimento è: «Hai perso la tua occasione».

Contemporaneamente è tornato sulla scena Grillo che ha ritirato fuori dal vecchio repertorio il referendum sull’euro che contraddice platealmente tutte le dichiarazioni europeistiche fatte da Di Maio nel corso delle trattative per il governo.

Risultato: se Lega e M5S si sfilano, il governo di tregua finirà per essere sostenuto solo da Forza Italia e Pd, ossia dai partiti che il 4 marzo hanno avuto i risultati più magri (anche se Forza Italia è parte della coalizione più forte, resta in posizione seconda rispetto al Carroccio). E siccome Fi e Pd non fanno la maggioranza parlamentare, il governo promosso da Mattarella si ritroverebbe in minoranza sin da subito e sarebbe costretto a portare l’Italia al voto al massimo in settembre poiché, senza la fiducia delle Camere, non avrebbe la legittimità politica di fare la nuova manovra di Bilancio d’autunno: si andrebbe così all’esercizio provvisorio mentre avremmo già avuto l’aumento automatico dell’Iva e saremmo stati sicuramente bastonati dalla Commissione per i conti pubblici non in linea.

Insomma, l’iniziativa del capo dello Stato rischia di nascere già morta trascinando l’unica istituzione salda della Repubblica in una situazione del tutto inedita. Non per essere pessimisti, però una crisi politica che si sommasse ad una crisi istituzionale mentre stiamo ancora uscendo lentamente dalla crisi economico-finanziaria, non è esattamente quanto di meglio ci possiamo augurare. L’Italia instabile di cui parlava il commissario europeo Pierre Moscovici giovedì scorso a Bruxelles è esattamente quella che fa più paura all’Europa e ai mercati finanziari. Ma soprattutto a noi stessi.

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