Lo Stato impari
dai bilanci familiari

La produzione industriale a giugno è calata dello 0,4% rispetto a maggio e dell’1 rispetto al 2015. Un calo evidente che ha un nome: recessione. Nel 1980 il debito pubblico dell’Italia era il 54% del Pil. Nel 2015 è a quota 132,4% . Tutti attendono un’inversione di tendenza ma con questi dati economici l’uscita dalla crisi è accidentata. Per abbattere il debito o quantomeno per non aumentarlo è necessario un incremento del prodotto interno lordo. Ma l’economia soffre di una domanda interna debole non in grado di colmare i contraccolpi di un calo degli ordinativi esteri. La situazione geopolitica globale è instabile e si riflette nel rallentamento dello sviluppo economico dei Paesi emergenti. La Germania, come prima nazione manifatturiera d’Europa (l’Italia è la seconda), risente meno del calo dei mercati esteri.

Quest’anno la produzione industriale crescerà dello 0,75 % rispetto allo 0,5% del 2015. Numeri miseri ma il trend positivo si conferma da sei anni a questa parte. La novità è che la domanda tedesca interna è in movimento e registra un aumento. Si pone dunque la questione: ma se la politica economica tedesca è segnata dall’austerità e l’obiettivo, peraltro raggiunto, è quello del surplus di bilancio come mai crescono i consumi? Lo Stato risparmia, fa pochi investimenti, non dà stimoli al rilancio della domanda interna e tuttavia il consumatore spende e così facendo contribuisce a colmare il calo dell’attività produttiva creata dalla riduzione delle richieste dall’estero. Un circolo virtuoso che dà stabilità al sistema. E tuttavia mette in crisi tutti coloro che fino a ieri hanno rimproverato al governo tedesco di non aver provveduto al rilancio degli investimenti con un allargamento della spesa pubblica. La morale è che risparmiare premia , quantomeno a Berlino. Dalle altre parti e in Italia in particolare non è detto che debba essere così.

Ed è qui che balza la differenza tra il Nord e il Sud Europa. Il consumatore tedesco ad uno stimolo della domanda creato dalla mano pubblica si ritrae perché crede che la lievitazione della spesa di bilancio si traduca prima o poi in un aumento delle imposte. Teme uno squilibrio del proprio budget familiare e non osa spendere per timore di dover affrontare spese impreviste. Se invece lo Stato raggiunge il pari o un surplus di bilancio, come nel 2015, allora si rasserena ed è disposto a consumare perché non vede nubi all’orizzonte. Confronti con l’Italia o la Francia sono superflui. Si pensi solo che lo Stato francese è in cronico deficit da decenni ed appena il governo pensa di ridurre i costi scatta la protesta sociale. Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea, alla domanda del perché la Francia è sempre in deficit ha risposto: ma la Francia è la Francia. E lo stesso si potrebbe dire dell’Italia con il suo mega debito. Questo spiega le difficoltà della Germania nel cercare di imporre il suo modello alla politica economica europea.

La parola austerità è stata bandita e del resto non è nemmeno presente nel vocabolario tedesco perché tenere i conti in ordine non vuol dire stringere la cinghia ma semplicemente gestire in modo oculato le uscite. Idea peraltro diffusa nel mondo latino, dove nelle famiglie si calcolano le spese con il famoso detto: fare il passo secondo la gamba. Ma ciò che vale per i bilanci familiari non vale per lo Stato, dal quale si pretende tutto come se fosse un corpo estraneo ai cittadini. E questo spiega le difficoltà del governo Renzi nel portare avanti il taglio agli sprechi della mala amministrazione. Gestire la cosa pubblica come se fosse quello di una famiglia è un obiettivo nobile ma ha un costo: la perdita di voti.

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