L’ordine in Russia
Promessa precaria

L’attentato nella metropolitana di San Pietroburgo, tragico di per sé con il suo carico di morti e feriti, diventa per il Cremlino politicamente devastante perché è arrivato subito dopo le manifestazioni organizzate in decine di città dal politico-blogger Aleksej Navalny. Intendiamoci: non c’è alcun legame tra i giovani scesi in piazza per protestare contro la corruzione e gli assassini di San Pietroburgo. Si tratta di fenomeni troppo diversi. Ma proprio per questo la coincidenza moltiplica gli effetti dell’uno come dell’altro. Quelle dirette da Navalny sono state le proteste meglio organizzate e più «profonde» della Russia degli ultimi vent’anni, ovvero dell’era Putin. Si sono svolte in decine di città, anche lontanissime tra loro, e per la prima volta nella breve carriera di Navalny non erano legate a una scadenza (un voto, un’elezione...) ma solo a una parola d’ordine generica ma efficace: il lusso dei potenti, il distacco totale di chi comanda da chi deve obbedire, i privilegi di quel mondo parallelo che non si cura dei problemi del cittadino comune.

Anzi, forse nemmeno sa che quei problemi esistono. Se fosse nato in Francia o in Italia, Navalny verrebbe definito «populista». Ma è russo e fa l’opposizione a Vladimir Putin, quindi lo definiamo automaticamente «democratico». Non è né l’una né l’altra cosa e la sua forza non è politica ma generazionale. Il blogger anti-corruzione, infatti, fa da megafono alle inquietudini e alle ambizioni dei millennial russi, ovvero i giovani nati subito prima o subito dopo il crollo dell’Urss, che si affacciano ora all’età adulta e cominciano a lottare per ritagliarsi un posto nel mondo e nella società. A scapito, come sempre avviene, di chi quel posto l’ha già e non è disposto a mollarlo. Siamo quindi in presenza di un elemento nuovo, che comincia solo ora a pesare sulla scena politica moscovita. Le bombe nella metropolitana, invece, sono un elemento vecchio e ben noto. La capitale Mosca ha vissuto episodi simili nel 2004 e nel 2010, in una storia di attentati che comprende anche la strage del Teatro Dubrovka (2002) e l’arresto del gruppi di jihadisti che si apprestava a colpire durante le festività dello scorso Natale. Gli stragisti hanno depositato l’equivalente di 300 grammi di tritolo in uno dei 1.600 vagoni che ogni giorno trasportano 2,3 milioni di passeggeri. L’esplosione è avvenuta su una delle linee principali, tra due stazioni (Sennaja e Technologhiceskij Institut) centrali, nell’ora di punta. Insomma, intercettare i terroristi non era facile.

Eppure la promessa di Vladimir Putin, in tutti questi anni di grande potere e grande consenso, è stata proprio questa. Basta con il disordine. Organizzazione, disciplina, calma, prevedibilità. Non a caso, la prima promessa da leader di Putin, quand’era ancora primo ministro e stava per diventare presidente, fu di metter fine alla ribellione dei ceceni. E anche allora si era nell’ombra di una serie di attentati. Un dolce suono per le orecchie dei russi, sconvolti da una turbolenza politica e sociale durata quasi trent’anni, dall’agonia dell’Urss alla perestrojka alle presidenze di Boris Eltsin.

I fatti cruenti di San Pietroburgo, quindi, ricordano ai russi che quella promessa di ordine e disciplina, pur largamente mantenuta, resta precaria a dispetto degli sforzi e anche dei sacrifici, perché per realizzarsi ha preteso sacrifici in termini di libertà e diritti. In più, le proteste dei giovani arringati da Navalny avvertono tutti che una generazione nuova sta premendo alle porte, un mondo che non ha memoria storica e per il quale l’ordine non è più un valore assoluto. Le antiche minacce di disordine si aggiungono così alle nuove promesse di disordine, con il rischio di aprire una stagione di incertezze in una Russia che è tornata a essere protagonista internazionale e, quindi, a sopportare tutte le tensioni che quella condizione garantisce. È una fase nuova e Putin, che fino a qualche settimana fa era all’apice del gradimento, deve risolvere un rebus inedito.

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