Magia nell’unione
di uomo e donna

Le unioni civili sono state votate dal Senato. Le immagini viste in televisione hanno mandato in onda baci e abbracci. Tutti, o quasi, contenti. Da commuoversi a vedere, dopo tanto discutere e dopo tante scene, più scenate che scene, dove succedeva di tutto, dalle parolacce, ai gestacci, ai colpi bassi. Io però credente, rimango, nonostante tutto e inguaribilmente, legato all’idea che il matrimonio è quella roba là, tra un uomo e una donna. Cerco di dirlo sottovoce per non apparire omofobo, ma continuo a esserne convinto e a credere che la qualità della mia fede dipenda dall’entusiasmo per quella legge.

Allora ho fatto un esercizio decadente. Mi sono immaginato senatore e mi sono visto là, nella nobile aula di Palazzo Madama, al momento dell’approvazione della Legge Cirinnà. Essendo senatore, avrei dovuto anch’io abbracciare qualcuno. Ma chi? Avrei dovuto abbracciare la Cirinnà: «Finalmente cara Monica (si chiama così la Cirinnà; i senatori, quando non litigano, si chiamano per nome), abbiamo una legge. Era ora». Ma avrei dovuto abbracciare anche Alfano: «Grazie, Angelino (è il nome di Alfano): ti sei impegnato a rendere un po’ meno disastrosa quella legge. Meno male: niente step child, niente fedeltà. Grazie, Angelino». Poi penso che sarei corso fuori e avrei abbracciato Massimo Gandolfini, quello del family day: «Grazie Massimo, hai tenuto duro sui grandi principi. Meno male che ci siete anche voi. Meno male. Grazie».

Devo essere d’accordo con chi ha voluto la legge, infatti. In una società laica non si possono negare dei diritti a tutta una parte di questa società che li rivendica. «Le coppie di fatto sono un fatto» è stato detto. E lo sono anche per me che sono credente: le coppie di chi si sposa in comune, le coppie di chi non si sposa, le coppie omosessuali. Quindi sono d’accordo con Monica. Ma cercare di accentuare la differenza della nuova legge con quella che regola il matrimonio, anche questo è doveroso. Sono d’accordo con Angelino. Come è doveroso affermare la visione dura e pura del cristiano. Sono d’accordo con Massimo. Sono d’accordo con tutti. Ma non è che sono d’accordo con tutti perché non sono d’accordo con nessuno?

Il cristiano vive in bilico, in effetti: per essere se stesso non è fraterno con gli uomini con cui vive; oppure, per essere fraterno, ha la sensazione di essere un po’ meno se stesso. Se devo dirlo in altro modo, dovrei dire semplicemente che il cristiano è sempre più spesso solo, «cittadino di passaggio».

Un prete amico commenta a modo suo la legge e la sua è una conferma della solitudine del credente che diventa, in questo caso, la solitudine del prete. «Facciamo un’ipotesi, mi dice. Un ragazzo che vive con un partner viene a confessarsi. Prima domanda: gliela do l’assoluzione? Coi tempi che corrono, direi di sì. Ma il ragazzo mi dice che è stato infedele. Non ha trasgredito la legge. Ma io dovrei dirgli che ha commesso un peccato perché ha mancato di fedeltà. Io dovrei essere più severo di una legge che però non posso condividere perché permette unioni omosessuali. Un bel casino, mi dice». Poi si accorge che l’immagine non è la più adatta all’argomento. «Senza allusioni, per carità. Senza allusioni».

Insomma, a me credente, se posso usare un’immagine poco liturgica, sembra di essere un pugile rintronato: sono nell’angolo e non ho più né la forza né la voglia di menare pugni. Sento il pubblico che rumoreggia, ma non capisco bene dove si trova, proprio perché, rintronato come sono, non riesco a vederlo. Quando lo sguardo si chiarisce mi accorgo che il pubblico, in realtà, è uscito. Sono rimasti soltanto il mio allenatore e un paio di amici che mi guardano impietositi.

Ma, mentre mi immagino un po’ pateticamente così, mi viene un dubbio. Non è che sul Calvario, quel giorno, sia andata meglio. Sarà una deformazione professionale, ma devo proprio dire che la mia solitudine mi sembra abbastanza simile a quella, quando «il sole si oscurò e si fece buio su tutta la terra». Mi sento ancora solo. Ma pensando a quella notte in pieno giorno, inizio a sentirmi un po’ meno solo di quanto temevo.

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