Mattarellum, Italia
al giro di giostra

Ripartire dal Mattarellum. Sì il Mattarellum, quello abrogato dal Porcellum, a sua volta modificato dal Consultellum e poi superato dall’Italicum. Ma ora il dibattito politico sulla nuova legge elettorale è dominato da un contrordine. Si torna al caro vecchio sistema proporzionale-maggioritario, ultima spiaggia per non finire al ballottaggio e rischiare di perdere la prossima partita elettorale con il Movimento 5 Stelle, che almeno a parole andrebbe alle urne anche domani. Per il segretario del Pd Matteo Renzi è il modo per ricompattare il partito lacerato dal referendum.

Per Salvini e la Meloni va più che bene purché si voti. Per Berlusconi andrebbe ritoccato ma potrebbe funzionare. Per Grillo invece è l’ultimo colpo di coda della nomenclatura al potere per ritardare l’avanzata trionfale dei 5 Stelle (magari chiudendo un occhio sul pasticciaccio brutto di Virginia Raggi a Roma).

La legge prende il nome dall’attuale Capo dello Stato (poi ribattezzato alla latina dal politologo Giovanni Sartori) e risale al 1993, quando in Italia c’era ancora (per poco) la Democrazia Cristiana, Bettino Craxi veniva investito da una pioggia di monetine all’uscita dell’Hotel Raphael a Roma e il capitano Ultimo arrestava Totò Riina, mentre Sarajevo languiva sotto i colpi di mortaio serbi e alla Casa Bianca saliva un giovane presidente di nome Bill Clinton. Come è noto, il Mattarellum, dopo il referendum di Mariotto Segni del ’93 che sanciva il bipolarismo, cancellava 50 anni di proporzionale puro alle elezioni politiche, ma non del tutto. È un sistema misto: assegna tre quarti dei seggi sulla base di collegi uninominali maggioritari (vince il seggio che totalizza più voti) e il rimanente quarto su base proporzionale. Doveva coniugare governabilità e rappresentanza, ma aveva dei difetti per via dello «scorporo», un marchingegno complesso che portò alla nascita delle famigerate «liste civetta». La nuova legge elettorale veniva paragonata al Minotauro, per tre quarti animale e un quarto uomo. Venne usato nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Poi scoccò l’ora del «Porcellum», il cuore della Seconda Repubblica.

Oggi Matteo Renzi lo resusciterebbe volentieri per uscire dalla palude della situazione, dopo aver detto, nel 2015, che «l’Italicum ce lo copierà mezza Europa», riportando indietro la lancetta di 24 anni, aggiungendo un «premietto» di governabilità (90 seggi al primo partito) e pochi altri accorgimenti. Il minimo indispensabile per ribattezzarlo «Mattarellum 2.0». Si è persino spinto nell’affermare che questo ritorno al futuro «contribuirebbe a riportare la gente al voto». Appropiandosene con la consueta passione travolgente (lo ribattezzerà «Matteorellum?»). Quest’idea fissa della partitocrazia italiana di affidarsi per vincere non alla conquista dei voti degli elettori ma alla legge elettorale, come se per vincere una partita di calcio ad ogni incontro servisse cambiare, anziché la formazione, le regole del gioco, è una peculiarità tutta italiana. Si cambiano le leggi come i palinsesti televisivi, a colpi di maggioranza, per poi vederseli disfare come una tela di Penelope dalla maggioranza successiva, quando non interviene la Corte Costituzionale.

Abbiamo veleggiato 24 anni in cerca di nuovi lidi per scoprire che la Seconda Repubblica è rotonda ed approdare nello stesso punto da cui siamo partiti: il Mattarellum. E alla fine scoprire, come direbbe Tiziano Terzani, che abbiamo fatto un altro giro di giostra.

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