Mercati internazionali
Troppe incertezze
E i dazi fanno danni

La materia economia, per sua stessa formulazione scientifica, è soggetta a variabili che rendono assai difficile formulare previsioni esatte nel tempo. Basti pensare all’andamento dell’economia reale, alle mutevoli aspettative degli operatori, all’avvento di nuove tecnologie, alle preferenze cicliche dei consumatori che guidano le scelte di produzione. A ciò si aggiunge l’incertezza sempre maggiore e sempre più preoccupante della composizione «geopolitica» che affligge lo scenario economico e politico internazionale,in conseguenza della crescente crisi del sistema del libero scambio governato da istituzioni internazionali.

Dette istituzioni, costituite dopo la Seconda guerra mondiale, garantivano l’attuazione di molti accordi commerciali multilaterali, stipulati nel rispetto delle leggi che disciplinano il libero mercato e tendenti al graduale abbattimento dei dazi doganali. Un insieme di regole anche consuetudinarie, alla base dello sviluppo economico degli ultimi 70 anni, messe oggi in discussione dall’affermazione, in varie parti del mondo, di movimenti populisti e sovranisti che, tra gli obiettivi principali, hanno quello di proteggere le produzioni nazionali attraverso l’applicazione di dazi doganali.

Queste misure portano inevitabilmente a ritorsioni di vario tipo in campo economico e commerciale tra le varie nazioni, rendono incerte e imprevedibili le valutazioni di Borsa e possono avere conseguenze gravi per le economie deboli di alcuni Paesi. È il caso, in questi giorni della Turchia, fatta oggetto di speculazioni che hanno portato ad una pesante svalutazione della lira. Vicende del passato, poi, c’insegnano come le politiche protezionistiche tendano inevitabilmente nel medio termine a generare una pesante riduzione dello sviluppo economico. Assai sorprendente è che proprio gli Usa, da sempre fautori del libero scambio, siano oggi tra i primi sostenitori delle teorie protezionistiche. Paladino delle stesse si è fatto Trump, con un’azione sempre più intensa e imprevedibile, coerente con l’attuazione del programma elettorale che lo ha portato alla Casa Bianca. La sua ripetuta affermazione «America first», intesa a dare nuovo impulso all’economia autoctona attraverso l’esclusiva protezione degli interessi nazionali, non ha alcun riguardo per gli equilibri politici internazionali e per gli stravolgimenti economici e sociali che ne possono derivare. È già stato posto fine ad importanti trattati economici internazionali come quelli con il Canada e con il Messico ed è stata annunciata l’intenzione di sostituire i vari trattati multilaterali, molti dei quali voluti proprio dagli Usa, con accordi bilaterali. Funzionale a tale nuova strategia degli scambi commerciali è la graduale applicazione, nei confronti di vari Paesi, di dazi protettivi che riportano gli Stati Uniti indietro di oltre un secolo. La memoria, infatti, va allo «Smoot-Hawley Act» che nel giugno 1930, in presenza degli effetti della grande crisi economica, impose la svolta protezionistica, con dazi su oltre 20.000 prodotti. Ne conseguì un inasprimento della stessa crisi che portò alla «grande depressione» (1930-1933).

Di scelte protezionistiche si comincia a parlare anche in Italia, visto che autorevoli esponenti dell’attuale governo si sono detti intenzionati ad eliminare gli accordi di libero scambio con il Canada (Ceta). Fortunatamente, l’Europa resta intenzionata a rispettare la libertà degli scambi, che ha costituito una delle sue ragion d’essere. Lo testimonia il recente accordo sottoscritto con il Giappone, che elimina tutti i dazi tra queste due importanti aree economiche mondiali. Sorprende constatare, però, come questa significativa iniziativa strategica, che contrasta con le attuali tendenze, sia passata quasi del tutto inosservata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA