Più prudenza
sui conti

Con lo spread ad un passo dalla quota psicologica dei trecento punti, almeno una parte della maggioranza e del governo si va riallineando alle posizioni rassicuranti del ministro dell’Economia Giovanni Tria, quelle stesse che hanno rallentato l’esodo dall’Italia degli investitori stranieri e probabilmente indotto gli analisti di Fitch ad aspettare ancora un poco prima di decidere se declassarci. Che questa sia la nuova musica governativa lo si è capito dopo il vertice dei leghisti dedicato alla legge di Bilancio ormai imminente. Salvini, dopo aver fatto retromarcia dall’intenzione di sforare il limite del tre per cento (anche solo l’attesa di una decisione del genere ha gonfiato lo spread) ha precisato che quella soglia verrà solo «sfiorata»: girano indiscrezioni secondo cui Tria potrebbe attestarsi poco sotto l’1,8 per cento mandando un messaggio di affidabilità a Bruxelles e ai mercati in fibrillazione.

Altro elemento: la gradualità con cui il vicepremier della Lega ha descritto la tempistica delle riforme che il governo intende fare: la flat tax voluta dai leghisti come il reddito di cittadinanza chiesto dai grillini, insieme alla revisione della Fornero, alla fine del contenzioso col fisco, ecc. Ebbene, tutti questi impegni vengono presentati come «primi atti»: la flat tax per esempio potrebbe per quest’anno essere riservata alle partite Iva, allargando i limiti di fatturato finora previsti per il regime semplificato.

E lo stesso reddito di cittadinanza dovrebbe partire con la riforma dei centri per l’impego. Insomma l’attuazione delle promesse elettorali dovrebbe essere programmata per l’arco dell’intera legislatura prendendo atto che non ci sono risorse per avviarle tutte insieme e completamente. Se poi la legislatura finirà prima del tempo, come non pochi sospettano e prevedono, pazienza: sia leghisti che grillini potranno sempre chiedere più voti per completare il lavoro appena abbozzato.

Non è chiaro però se questa prudenza di Salvini – almeno sul piano della legge di Bilancio – sia condivisa dall’alleato Di Maio. Per il leader leghista tornare a calibrare le parole è obbligatorio dopo i mille segnali di scontentezza che gli sono arrivati dai ceti produttivi del Nord, in larghissima parte elettori del Carroccio, che potrebbero essere tentati dal partecipare, se si farà, alla marcia di protesta che la Confindustria ha in mente di organizzare contro la politica economica del governo.

Ma i Cinque Stelle? Solo nelle ultime ore Di Maio ha ripetuto ancora una volta che lui «se ne frega delle agenzie di rating», le stesse che potrebbero – declassandoci anche di poco – bollare come spazzatura (junk) i nostri titoli di Stato che consentono di pagare stipendi, pensioni e tutto il resto.

Del resto, l’atteggiamento dei grillini verso gli imprenditori («prenditori») ha mille modi per manifestarsi e quasi sempre con sospetto. Insieme alla legge di Bilancio, a palazzo Chigi e al ministero della Giustizia stanno preparando un provvedimento anti-corrotti che dovrebbe bollare per sempre (Daspo perpetuo) gli imprenditori che si siano resi colpevoli di malversazioni in materia di appalti pubblici.

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