Processo capitale
Rivoluzione politica

Quello che il difensore di Massimo Carminati, l’avvocato Naso, ha definito «un processetto dopato» potrebbe invece trasformarsi in una specie di crudele ma benefico rito purificatorio di una città che è stata portata al fondo della propria dignità dalla continuata mala-azione di criminali, truffatori, corrotti e corruttori, politici, funzionari pubblici, giostrai che fanno gli strozzini. In fondo un rito laico che restituisca alla capitale d’Italia il perduto rispetto per se stessa di cui è maleodorante metafora l’immondizia che sporca sia le meravigliose strade e piazze della Roma antica sia quelle sgraziate della Roma della speculazione palazzinara del dopoguerra.

Di fronte ai giudici sfileranno tutti gli imputati tranne Salvatore Buzzi, Carminati e il suo braccio destro Riccardo Brugia, collegati in videoconferenza dal loro luogo di detenzione secondo l’articolo 41 bis.

Si è capito che l’attacco al pilone fondamentale dell’inchiesta della procura guidata da Giuseppe Pignatone – la «mafiosità» del comportamento criminale degli imputati – sarà la linea degli avvocati della difesa. Tanto che uno di loro, il difensore di Buzzi, è arrivato a dichiarare: «A Roma la mafia non esiste», forse ignaro di ripetere così il ritornello dei complici dei mafiosi siciliani negli anni ’60 e ’70 ma sicuramente indifferente alla palese falsità di una simile affermazione. Decine di inchieste, centinaia di arresti e di sequestri ben prima che scoppiasse Mafia Capitale hanno dimostrato che a Roma e a Ostia non solo esiste la mafia ma vivono e prosperano «le» mafie.

C’è una certa piazza della movida romana che (tutti lo sanno) è come la Berlino dell’occupazione alleata: c’è un settore controllato dai camorristi casertani, uno dagli ‘ndranghetisti calabresi e uno, appunto, dai prestanome di Massimo Carminati. Ciononostante gli avvocati questo diranno: al massimo i nostri clienti hanno subìto richieste di mazzette da parte dei politici e dei funzionari ma non hanno mai ucciso o intimidito o usato comunque metodi «mafiosi».

I politici, appunto. In aula sfileranno politici di destra e di sinistra equamente ripartiti. Anche l’ex sindaco Gianni Alemanno sarà della partita, accusato di corruzione e di illecito finanziamento ma non di concorso esterno in attività mafiosa. Insieme a lui ci saranno il rappresentante della potente famiglia di giostrai divenuto capogruppo di Forza Italia come il presidente democratico del consiglio comunale; il figlio del senatore missino come l’ex capo di gabinetto di Veltroni.

Estranei alle accuse, e anzi presenti come parte civile, ci sono solo i grillini che si aspettano di ricevere in eredità il Campidoglio dallo sprofondamento elettorale dei due schieramenti politici, il centrodestra e il centrosinistra, che usciranno a pezzi da questo processo. Perché una cosa dimostrerà il processo di Mafia capitale, e cioè che Roma è la capitale secolare dell’inciucio dove le parti malate dei partiti – tutto sta a capire quanto estese – si sono sempre accordate trasversalmente in nome degli affari e del «trascinamento» come si è espresso un altro avvocato: «Ci trasciniamo» tutti insieme. Come a dire che una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso.

Il super imputato Carminati ha fatto sapere che questa volta parlerà: sarà interessante ascoltare da lui la descrizione della sua Terra di Mezzo che ha avvelenato Roma più di quanto già non lo fosse.

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