Quale Europa?
Politica alla prova

Due indizi, si dice, fanno quasi la prova di un delitto. La vittoria di Trump conferma le motivazioni di fondo del voto Brexit, spazzando via per la seconda volta non tanto i sondaggi quanto molte supponenze intellettuali. E il delitto in questione è non solo di disattenzione, ma di cattiva coscienza. Avviene quando i governanti ad esempio pensano di esorcizzare l’antieuropeismo, cavalcandolo anziché illustrare con pazienza e convinzione le ragioni prevalenti dell’unità. Sarebbe paradossale che a svegliare noi europei dal sonno della ragione dovesse essere solo la recente sentenza dell’Alta Corte inglese, che prescrive al Regno Unito di portare in Parlamento l’effettiva decisione sulla stessa Brexit.

La Gran Bretagna non ha una Costituzione, e se ne vanta. I cittadini di Sua Maestà si rifanno alla cosiddetta «common law». L’Italia, una Costituzione ce l’ha e anch’essa se ne vanta, affermando che è «la più bella del mondo» ma sta per andare a referendum per cambiarla profondamente. All’incrocio di due situazioni diverse sta il nodo referendum, cioè il ricorso alla democrazia diretta, molto pericoloso, quando si alza in alto, ben visibile, una scelta che abbia l’aria di venire dalle élites, politiche o finanziarie che siano. Diventa subito un bersaglio per abbatterle, e pazienza se questo spacca un Paese, come sta avvenendo in Usa, dove pure é pedagogico il rispettoso incontro tra Obama e Trump. Di questi tempi, l’esito di un referendum, o di un voto uno contro uno, Hilary insegna, è sempre un’incognita, persino là dove si tratta di chiudere una guerra civile, come in Colombia, o nella pacata Svizzera. Anche l’autocrate ungherese ha assaggiato la sberla del no, sia pur facendo subito spallucce, ora confortato dal successo del propugnatore di muri oltreoceano.

Insomma, è il gran momento della riscoperta di Rousseau, che ha dato anche il nome ad un software grillino che dovrebbe sostituire la «scatola di sardine» parlamentare, realizzando con un click l’utopia della volontà generale. Si rivolta nella tomba l’antico avversario di Rousseau, il barone di Montesquieu, quello dei contrappesi e della divisione dei poteri, che bene o male hanno ispirato la democrazia occidentale degli ultimi secoli. Molto probabilmente, nel Regno Unito, le cose non cambieranno, perché i deputati inglesi - prima in gran maggioranza per il «remain» - non oseranno contraddire gli elettori, tanto più che il sistema elettorale costringe a vederli in faccia, uno per uno, nel proprio collegio, senza dipendere dalla scelta del Capo, come in Italia dal giorno del non splendido referendum Segni. Ma quello che dovrebbe far riflettere gli europei è la motivazione della sentenza, e cioè che solo il Parlamento può decidere di privare i cittadini del vantaggio di stare in Europa. Così dice la Corte: vantaggio. Si può anche preferire l’isolamento: si alzano barriere, si mettono dazi, si negano le ragioni ineluttabili dell’immigrazione, si maledice la globalizzazione, e per un giorno tutti sono più contenti. Ma, dice la Corte, non basta un tratto di penna, sia pur referendario, deve provvedere la politica. È un ammonimento per i vertici europei, che dopo il segnale della Brexit sono andati avanti come prima, condizionati da umori interni da blandire e anche ieri la velenosa battuta di Junker contro Trump sembra confermare l’indizio di sottovalutazione di quanto accaduto.

Tutti comunque ci hanno messo del loro. Anche Renzi, con zelo improvviso ma buone ragioni «nazionali», se pensiamo che Bruxelles non ha spedito neppure il Commissario competente sulle rovine del terremoto. E non parliamo degli ultimi arrivati dell’Est - Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia - che avevano implorato di entrare nell’Unione per godere dei vantaggi, e ora propugnano nazionalismi che gli Stati fondatori della vecchia Cee hanno superato quando loro erano ancora sotto il tallone dell’Urss. Persino la piccola Vallonia ha piantato grane sul necessario trattato Europa-Canada. Insomma, i governanti europei non possono essere i sostenitori involontari del populismo antieuropeo in crescita, e la sentenza della Corte di un Paese con un piede fuori, non potrà certo surrogare la mancanza di volontà politica di 27 Paesi. E mezzo.

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