Una gestione locale
per la scuola

Una rivista specializzata sui problemi della scuola ha inventato anche una sorta di contatore informatico che avrebbe dovuto, in tempo reale, accompagnare alla fine di questa improbabile corsa contro il tempo: entro il 15 settembre 2016 chiudere tutte le procedure del «concorsone» nazionale che aveva promesso alla scuola italiana, entro questa data, l’approvazione delle graduatorie di merito e le successive nomine in ruolo, con effetto di stabilità immediata sull’anno scolastico 2016-17 e nei due successivi.

In concreto: fornire alla scuola italiana, dall’infanzia alla secondaria di II grado, i docenti opportunamente selezionati e in numero sufficiente per dare avvio regolare e stabile all’anno scolastico, interrompendo quell’ormai insostenibile giostra di supplenti che da troppi anni caratterizza le prime settimane di scuola dei nostri bambini e dei nostri ragazzi. Il contatore, al 15 settembre, ha registrato, dunque, meno della metà del risultato atteso: oltre il 52% delle graduatorie rimangono da concludere per cui non resta che riprendere, da parte degli uffici scolastici provinciali e dei dirigenti, la strada delle assegnazioni provvisorie e delle supplenze che si rincorrono.

Di per sé, il 48% di graduatorie completate potrebbe anche apparire un risultato, ancorché incompleto, timidamente positivo. Non è così: poiché la selezione avvenuta durante questo concorso è stata forte, quasi 7.000 dei 20.500 posti delle graduatorie già completate rimarranno vacanti: di fatto, le prove scritte sono state superate, a livello nazionale, da poco meno del 50% dei candidati per la scuola secondaria di I e II grado, e da circa il 30% dei candidati per la scuola dell’infanzia e primaria. Le prove orali hanno continuato nella selezione. In termini numerici, in Lombardia, solo il 46% dei 3.000 posti approvati nelle graduatorie di merito saranno coperti, gli altri risultano vacanti, non si sono trovati candidati sufficientemente … meritevoli. Quindi …avanti con la rincorsa delle supplenze! Non è difficile individuare le cause di un risultato tanto negativo: le procedure a rilento, i ritardi nell’emanazione dei bandi, la difficoltà nel reperire i commissari delle commissioni (come biasimare i docenti che, chiamati a partecipare ad un compito di così grande responsabilità a fronte di un compenso stimato in circa un euro l’ora per lavorare senza l’esonero dall’attività ordinaria e anche durante le ferie estive, hanno rifiutato?), prove scritte evidentemente tarate per un target diverso da quello che ha affollato queste prove concorsuali, molto spesso composto da docenti abilitati che da anni lavorano da precari nella scuola. E si potrebbe continuare.

Come è possibile infilare così tanti errori in una procedura che, nelle divulgazioni un po’ trionfalistiche della legge che l’annunciava, la cosiddetta Buona scuola, avrebbe finalmente dovuto restituire la professione docente alla supremazia del merito e agli allievi e alle loro famiglie la stabilità e la continuità che sono indispensabili per garantire una buona ed efficace relazione educativa tra docente e allievi?

La risposta si trova facilmente andando a rivedere gli esiti di tutte le altre procedure concorsuali in questi ultimi anni emanate e gestite dal ministero dell’Istruzione: appelli, ricorsi, contro-ricorsi, sospensive, ri-ammissioni …Una ridda di procedure e contro-procedure volte, forse, a tutelare il singolo ma troppo spesso dimentiche del bene comune che una scuola ordinata rappresenta, un’ingovernabilità che si alimenta nella proliferazione, a livello nazionale, di norme su norme ormai incomprensibili ai più, affidate ad una burocrazia amministrativa che dovrebbe assicurare garanzie valide ovunque, in tutto il Paese, e non continuamente contestate, contraddette, ribaltate, formalmente svuotate di qualunque significato che abbia a che vedere con ruoli e persone che agiscono una professione educativa, legata, innanzi tutto, all’idea del rispetto, del rispetto reciproco, dell’equità e della giustizia dichiarate e praticate.

Una domanda, allora, viene spontanea: se è così difficile governare e gestire la scuola in modo centralistico, come si è continuato a fare in questi 17 anni (tanto è il tempo che ormai ci separa dal Regolamento sull’autonomia delle scuole) che avrebbero dovuto, invece, vedere il crescere e il prosperare dell’autonomia almeno funzionale delle singole istituzioni scolastiche, perché non approdare ad una pratica di gestione «locale», sussidiaria, che rigorosamente risponda allo Stato e alle regole generali rispetto alle sue scelte e ai loro esiti? Se, come da più parti si è suggerito, una rete di scuole bandisse, nel rispetto di regole date a livello nazionale, un concorso volto a selezionare i docenti che in quelle scuole dovranno lavorare, selezionandoli in base a caratteristiche professionali rispondenti ai bisogni formativi di quel territorio, di quelle situazioni, non sarebbe forse facile guadagnare in rapidità, ma presumibilmente anche in trasparenza ed efficienza rispetto ad un servizio che ha da essere, innanzi tutto e sempre educativo?

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