Tar, serve un binocolo
per guardare lontano

D’istinto verrebbe da dire «l’Impero colpisce ancora» a proposito della sentenza del Tar Lazio che ha accolto il ricorso contro il numero chiuso previsto per l’ingresso nelle facoltà umanistiche della Statale di Milano. La scelta dell’ateneo di porre un limite al numero degli iscritti era dettata (e motivata) dall’esigenza di garantire agli studenti un accettabile livello di fruibilità delle lezioni e, più in generale, dall’obiettivo di fornire servizi didattici e logistici adeguati. Poi ci si ferma a riflettere.

E ci si interroga su quali possano essere tutti gli elementi che hanno prodotto questo ennesimo corto circuito nel funzionamento del nostro sistema giuridico. Al riguardo non si può negare che il mondo dell’istruzione è pieno di falle, in primo luogo per l’insipienza di un ceto politico che, nei decenni, lo ha lasciato andare alla deriva, intervenendo con riforme che hanno peggiorato la situazione invece di migliorarla. E la natura, si sa, non prevede vuoti. Laddove esistono storture giuridiche si apre la porta al contenzioso. Il ricorso diventa la strada più breve per ottenere ragione, anche sulla base di un semplice appiglio formale. Ciò amplifica enormemente – fino all’assurdo - peso e potere della giurisdizione.

I giudici sono chiamati al pieno rispetto delle leggi. Si tratta di un principio giuridico indiscutibile e, per fortuna, indiscusso. Ciò implica, secondo una lettura diffusa, che i giudici siano chiamati ad applicare la legge. Cosa anch’essa fuori discussione. Ma applicare le leggi non esclude affatto che esse siano soggette – in misura variabile – a essere interpretate. Anzi, l’interpretazione è uno degli elementi propri del ruolo delle magistrature nei sistemi democratici. Ai giudici spetta valutare, caso per caso, le singole fattispecie sulle quali sono chiamati a intervenire, avendo come canone «tecnico» la legislazione e come orizzonte «culturale» i principi dettati dalla Costituzione. Tale compito ha il suo punto di maggior risalto, sul piano ordinamentale, nel diritto dei giudici di sottoporre alla valutazione della Corte costituzionale l’ipotesi di illegittimità di una norma.

Nel caso della Statale di Milano i giudici del Tar hanno preso in considerazione i «vizi formali e sostanziali» della delibera dall’ateneo milanese. Resta il fatto che le decisioni del Tar Lazio sembrano troppo spesso dettate da una visione eccessivamente formalistica, in ragione della quale l’idea che il giudizio non vada espresso esclusivamente in base a codici e codicilli, ma implichi valutazioni riguardanti il contesto sociale è del tutto esclusa. Si tratta di una constatazione amara, perché induce a ritenere che la magistratura amministrativa sovente esorbita dal suo ruolo, finendo per comprimere oltre il ragionevole l’autonomia decisionale di soggetti che hanno la responsabilità di fornire alla collettività servizi adeguati e dovrebbero poterlo fare senza restare imbrigliati nella selva delle procedure e annichiliti dal labirinto dei ricorsi.

Ad oggi il risultato acquisito è la paralisi: l’ateneo ha dovuto annullare le sessioni previste per la selezione degli aspiranti; quei giovani (e le loro famiglie) restano appesi a un filo e dovranno decidere se convogliare altrove le loro speranze di accedere all’università o confidare in una rapida risoluzione della vicenda. Nel caso specifico ciò significherebbe attendere che il Consiglio di Stato, al quale presumibilmente si rivolgerà in appello la Statale, si pronunci. A dir poco alcuni mesi. Si profila un percorso analogo a quello avviato, nella scorsa primavera, dall’annullamento delle nomine di alcuni direttori di musei fatte dal ministro per i Beni culturali. In quel caso la sentenza incise (anche se in modo pesante e con questioni tuttora irrisolte) su poche persone; quella riguardante la Statale investe migliaia e migliaia di giovani. Rispettare le sentenze è un dovere. Non meno innegabile è il diritto di osservare che il funzionamento di alcuni organi di giurisdizione è diventato un problema in un Paese nel quale la babele delle norme meriterebbe non la lente dell’entomologo, con la quale si vedono le zampette dell’insetto, quanto il binocolo con il quale si riesce guardare lontano. Se lo si vuole. Ma questa è l’Italia. Così è, se vi pare, scriveva Pirandello.

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