Trasparenza contro il pubblico affare

Ma davvero in questo tribolato Paese non c’è appalto senza trucco, non c’è gara senza inganno? Capitò al sottoscritto una quindicina di anni fa di occuparsi della ricostruzione post terremoto in Umbria. L’inchiesta verteva sulle presunte tangenti della sinistra al governo in una Regione tradizionalmente rossa. Primo passo dell’indagine: leggere quanto reperibile sul sito della Regione. E qui la prima sorpresa: c’erano i bandi di gara, i verbali di assegnazione dei lavori, nomi e curricula di progettisti e appaltatori, un mare di documenti. Roba mai vista. Qua e là qualcosa mancava e loscrupoloso cronista cominciò a pensare che lì stessero gli inghippi.

Si fece un elenco da presentare ai competenti uffici regionali, pronto al consueto tira-molla (non sono autorizzato a dartelo, non tocca a me dartelo, c’è la privacy, ripassa più avanti ecc.). E qui la seconda sorpresa: all’atto della domanda faceva seduta stante seguito la consegna di quanto richiesto. Ma perché non l’avete pubblicato? chiese perplesso il cronista. Perché è roba che interessa solo a lei, fu la risposta.

A questo punto l’inchiesta appariva inesorabilmente moscia e non restò che interrogare i pesci piccoli e grossi dell’opposizione di centrodestra. Ne uscì robetta. Prima di arrendersi il cronista giocò l’ultima carta. Prese da parte un pezzo grosso del centrodestra locale e tentò un goffo bluff: forse ho capito – disse – perché qui è apparentemente tutto in ordine: magari vi siete spartiti fraternamente gli appalti tra maggioranza e opposizione e adesso siete tutti contenti, nessuno ne parla. Il bravuomo cominciò ad andar su di giri e sbuffò: «Sa cosa succede se ci mettiamo a fare torte sugli appalti? Succede che qui arriva armi e bagagli la camorra. E magari pure la ’ndrangheta. E per le nostre imprese sarebbe la fine Per questo abbiamo deciso, maggioranza e opposizione, di rigar dritto. E le dico anche un’altra cosa, se mi assicura che non la scrive. Promesso. Se noi del centrodestra avessimo fatto nel post terremoto quel che han fatto i compagni ne saremmo orgogliosi». Al povero cronista non restò che saltare in macchina e tornare a casa. Cose storte da raccontare ce n’erano, ma scandali veri e propri, ruberie e tangenti, almeno al momento non risultavano.

Dunque gli amministratori dell’epoca avevano individuato nel libero accesso a tutta la documentazione un deterrente alle pastette, soluzione che risultava effettivamente efficace. E allora perché non fare altrettanto oggi, consentendo a chiunque di accedere agli atti pubblici, facoltà sancita in via di principio e poi di fatto impedita? Di chiunque abbia parte nelle opere pubbliche, dal sindaco al progettista, all’appaltatore, bisognerebbe poter conoscere vita, morte e miracoli e magari patrimonio e reddito. E basta con certe gare al massimo ribasso: se una ditta offre uno sconto stellare significa di solito che imposta un gioco torvo. Partiti i lavori partono le perizie suppletive. E basta anche con i ricorsi temerari al Tar: se c’è contestazione si decida in quindici giorni e la si finisca lì. E chi fa il furbo venga toccato nel portafogli.

Un tempo le Regioni avevano i loro Comitati di controllo che svolgevano un’eccellente funzione di verifica sugli atti degli enti locali. Gli stessi amministratori potevano dormire sonni più tranquilli avendo un attestato di legittimità per le loro delibere. Ma in nome di una vanesia autonomia, si è pensato bene di cancellare l’art. 130 della Costituzione che li istituiva. Non contenti, si è pure eliminato il controllo sulla pianificazione urbanistica.Il gatto ha perso le unghie e adesso i topi che infestano le gare di appalto ballano.

Capitava all’epoca di assegnare appalti perfino senza gara pubblica, a trattativa privata. Perché lo fate? chiedeva il Comitato. Perché il nostro progettista – si rispondeva – ha messo a confronto le offerte delle tre ditte più serie che operano sul mercato e ha scelto l’offerta migliore, non necessariamente la più economica. Il controllore controllava e entro i canonici 15 giorni dava il placet. Il risultato è che opere pubbliche realizzate decine di anni fa sono a regola d’arte e tuttora perfettamente efficienti. Insomma , tra licitazioni e trattative private, bandi di gara preclusi ai saltimbanchi, si riusciva, volendo, a far le cose bene lasciando a bocca asciutta tutto quel magma del sottobanco che oggi sta soffocando la nostra economia.

Quel che è sconcertante nell’ennesimo malaffare romano non è che ci sia una delinquenza più o meno organizzata che cerca di introdursi ovunque ma la consistenza di un corpo elettivo di mediocre caratura, dove in maggioranza si ruba e all’opposizione si tace. E quel che è ancora più grave è che, obbligati a modificare le meccaniche elettorali, Pd e Forza Italia si mandino segnali di fumo perché tutto resti com’è.

Se poi si avesse il buon senso di ammettere che la trasparenza sugli atti è imprescindibile, che la privacy soccombe quando è in gioco un pubblico interesse; se si avesse la disponibilità a snellire al massimo le procedure inutilmente complicate ripristinando gli interventi di controllo, se insomma si desse un taglio a questa anarchia del governo locale abbandonato alle scelleratezze di cacicchi di ogni estrazione, magari si inaridirebbe il brodo di coltura che fa crescere la criminalità organizzata e le mafie che sfidano ormai apertamente anche al Nord le istituzioni democratiche.

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