Tutti i muri
senza memoria

In un mondo che ha bisogno di ponti i muri si moltiplicano. Eppure i muri non rappresentano il progresso, come i primi, ma costituiscono solo un passo indietro nella storia. Di muri il passato ne è pieno. Pericle si illuse di vincere la guerra del Peloponneso grazie alle grandi mura di Atene che congiungevano la «polis» al porto del Pireo, ma 27 anni dopo Sparta ebbe il sopravvento e le mura vennero distrutte al suono del flauto.

La Cina ha la sua Grande Muraglia che delimitava l’impero della dinastia Qin, i romani costruirono il Vallo Adriano e il Vallo Antonino al confine con la Scozia. Durante le guerre mondiali l’Europa si riempì di muri fortificati: la linea Sigfrido in Germania, la Linea Stalin in Russia, la Linea Rupnik in Jugoslavia, il Vallo Alpino Littorio in Italia. Fino alla formidabile Linea Maginot, il più grande monumento alla stupidità umana, una serie di tunnel e casematte lunga 100 chilometri armata di cannoni e mitragliatrici, che finiva in un prato belga. I tedeschi tagliarono da lì, aggirarono la Maginot e misero in ginocchio la Francia.

Fino al Muro di Berlino, che nel 1961 aveva finito per tagliare in due la città e separare per sempre intere famiglie, amici, fidanzati, simbolo della Guerra Fredda, del comunismo e della sofferenza dei tedeschi. Con la caduta del muro dell’89 lo storico Fukuyama preconizzò «la fine della storia» ma la storia non è finita, altri muri sono stati eretti in giro per il mondo. Dal muro marocchino nel Sahara Occidentale a quello che separa Israele dai Territori palestinesi fino alle barriere di separazione africane di Ceuta e Melilla l’umanità non ha imparato niente.

L’Europa, che di muri se ne intende e avrebbe dovuto imparare la lezione del passato, ne ha eretto uno in Ungheria per fermare i profughi e i migranti economici provenienti dalla Grecia. Fino alla madre moderna di tutti i muri, quello al confine tra gli Stati Uniti e il Messico, lungo il confine del Rio Grande, che il neo presidente Donadl Trump intende rafforzare e completare per frenare l’ondata dei clandestini proveniente dalla «faccia triste dell’America».

In realtà Trump non ha inventato nulla. Quella messicana è la frontiera più attraversata del mondo e tutte le amministrazioni americane, da Reagan a Clinton fino ai Bush padre e figlio, le hanno sempre strumentalizzate in senso politico rafforzando i controlli, i pattugliamenti, le costruzioni e i posti di blocco. Già Reagan parlava dei messicani come fonte di povertà, narcotraffico e movimenti clandestini. Clinton aveva varato la gigantesca «operazione gatekeeper» per frenare l’invasione. In realtà era solo un modo per rassicurare i cittadini statunitensi dalla crisi e dal bisogno percepito di protezione e di sicurezza, principale scopo di ogni muro della storia e del mondo.

Trump vuole convincere gli americani dell’impenetrabilità dei propri confini. Ma i muri nella nostra epoca non servono a niente. Spesso trattengono il nemico, anziché tenerlo fuori. Al massimo servono a rafforzare le organizzazioni criminali che troveranno il modo per contrabbandare negli Usa centinaia di migliaia di esseri umani e fare da «assistenza tecnica» al passaggio della frontiera. Perché un modo per scavalcare i muri si trova sempre. Inoltre l’economia continuerà a beneficiare del lavoro a basso costo dei clandestini messicani e dei «maquiladores», i lavoratori che vivono a ridosso del confine nell’immensa area industriale che assembla manufatti e poi li rispedisce negli Usa, principale partner del Messico con 347 miliardi di dollari di scambi collaterali (mentre il Messico è il terzo partner commerciale dell’America, davvero Trump rinuncerà a tutto questo?).

Il prolungamento del muro annunciato dal tycoon che ha conquistato la Casa Bianca sarà l’ennesima grande opera del nulla usata dai potenti per rassicurare l’opinione pubblica. In realtà erigere un muro rappresenta l’ammissione di non trovare una soluzione complessa a un problema complesso come quello delle migrazioni. Le cosiddette «gate community», le comunità recintate, servono solo a sviare il problema, o a prendere tempo. Ecco perché il muro al confine col Messico seguirà la stessa sorte. La storia si ripete. In peggio.

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