Ue, la presidenza
non basta a salvarci

Il mondo si muove verso l’affermazione delle identità degli Stati. Il neoeletto presidente americano Donald Trump rivendica i primati perduti della grande America. Il russo Vladimir Putin rivuole la grandezza della superpotenza che già fu dell’Unione Sovietica. La britannica Theresa May gli splendori dell’impero. Tutti hanno però in comune una cosa: se la prendono con l’Europa. Il vecchio continente non ha l’orgoglio che guida i suoi concorrenti/antagonisti. L’elezione del nuovo presidente del Parlamento Europeo sembra confermarlo.

Antonio Tajani succede al tedesco Martin Schulz in un contesto politico che vede i due grandi partiti europei dei popolari e dei socialdemocratici in lotta fra di loro. Contrariamente al suo predecessore il neo presidente non godrà dell’appoggio di una grande coalizione ma dovrà contare solo sui liberali di Alde oltre che sul gruppo maggioritario del Partito popolare europeo. I socialdemocratici si oppongono perché aspirano a una carica istituzionale che attualmente non hanno in quanto sia il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk sia quello della Commissione Jean Claude Juncker sono del Partito popolare. Con Tajani ora al vertice dell’assise parlamentare il Ppe fa il pieno. Ma il quadro politico è lacerato. È evidente che in simili frangenti ci vuole una personalità forte, al di sopra delle parti, in grado di rilanciare i valori europei e attraverso il suo carisma sopperire alla debolezza dell’istituzione. Il Parlamento è il vero luogo di confronto democratico in Europa, dove le nazionalità perdono vigore di fronte a un comune superiore ideale europeo. Solo da questa assemblea è possibile dare quel risalto alla costruzione europea che i singoli governi sembrano invece trascurare. Far sentire la propria voce è quindi essenziale. Antonio Tajani è persona di grande esperienza, ex Commissario all’Industria, da anni è attivo al Parlamento europeo. E tuttavia il suo curriculum appare sbiadito, uomo di seconda linea, prima fedele seguace di Berlusconi e poi nei panni di Commissario, incolore mediatore fra i potenti interessi delle lobby industriali nazionali.

Per la sua elezione ci sono volute più di 11 ore. Solo dopo il terzo scrutinio quando era richiesta la maggioranza semplice i deputati dei Conservatori e Progressisti hanno riversato i loro voti sul candidato popolare. Questa formazione politica è composta da conservatori britannici favorevoli alla Brexit e da PiS (Diritto e giustizia) partito polacco nazionalista e ultraconservatore con forti accenti euroscettici. Quanto una coalizione composta da popolari, liberali di Alde e la frangia di euroscettici possa durare è la domanda che gira a Strasburgo. E del resto con Gianni Pittella i socialdemocratici sono andati ai suicidio. L’uomo è negato alle lingue straniere e il suo discorso all’assemblea lo ha tenuto in italiano mentre almeno Antonio Tajani si sforza di parlare oltre all’inglese, lo spagnolo e il francese. Insomma dovrebbe essere il momento dell’orgoglio nazionale ma da gioire c’è ben poco. La vera notizia è che l’Italia cresce cinque volte meno del resto del mondo. Questo l’allarme del Fondo monetario europeo. L’Europa è lacerata al suo interno ma per l’Italia sta suonando l’ora dell’ennesima emergenza. La verità è che in tempi in cui l’economia mostra tutti i suoi punti deboli, non basta più dire noi siamo corretti e democratici. La globalizzazione diventa un pericolo dal quale guardarsi. Le masse tradite dai sogni di un capitalismo senza frontiere rivendicano certezze che vedono svanire. A Paesi in difficoltà l’Europa deve offrire un’alternativa. Altrimenti avrà ragione Trump. Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea altri Stati seguiranno.

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