Le Olimpiadi del ’60, Bikila e i forconi

di Giorgio Gandola

«L’Expo a Milano avrà lo stesso effetto delle olimpiadi del 1960 a Roma». La frase di Enrico Letta ha del fascino, evoca il miracolo economico e un’Italia che uscendo in ginocchio dal dopoguerra seppe rialzarsi, rimboccarsi le maniche e diventare una delle nazioni leader del pianeta.

«L’Expo a Milano avrà lo stesso effetto delle olimpiadi del 1960 a Roma». La frase di Enrico Letta ha del fascino, evoca il miracolo economico e un’Italia che uscendo in ginocchio dal dopoguerra seppe rialzarsi, rimboccarsi le maniche e diventare una delle nazioni leader del pianeta. Imprenditori lungimiranti capaci di inventare prodotti e imporli sui mercati, politici capaci di guidare la crescita dentro binari di civiltà, soprattutto una generazione di italiani che non si limitava a piangere, ma sapeva guardare al futuro con ottimismo.

E allora la corsa a perdifiato di Berruti verso l’oro, la danza sul ring di un giovane pugile americano che sarebbe diventato Muhammad Alì, il mito di Abebe Bikila in quella maratona serale da brivido fra i monumenti imperiali e a piedi nudi come una statua dell’epoca dei cesari(le scarpe gli facevano male, vinse scalzo) fecero decollare il mito di un Paese che sarebbe diventato il luogo del pensiero, del bello, della rinascita. Già, quel secondo Rinascimento che tutto il mondo volle venire a vedere incrementando in modo esponenziale il turismo.

Un’Italia giovane e in canottiera seppe fare tendenza nell’arte, nella moda, nel cinema. Nessuno conosceva il significato pieno della parola burocrazia, nessuno riteneva i politici degni dei forconi. Sfottò sì (basta andarsi a rivedere Sordi e Totò), rabbia mai.

L’Expo del 2015 può essere di nuovo tutto questo? Difficile perché nel frattempo abbiamo perduto l’innocenza. Per recuperarla saremmo disposti a correre una maratona a piedi nudi. Ma la politica ci deve aiutare.

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