Cara
benzina

Scende, continua a scendere, è ai minimi storici. La stessa tendenza s’impone da giugno e ieri abbiamo addirittura recepito la frase: «È sceso sotto il livello psicologico dei 70 dollari». È il prezzo del petrolio, che da sei mesi è in discesa libera perché la produzione giornaliera risulta superiore al fabbisogno reale del pianeta.

Di ridurla non se ne parla, ancora ieri l’Arabia Saudita ha fatto valere la sua legge rimandando a casa delusi e di cattivo umore i rappresentanti dell’Iran, degli Stati Uniti, della Russia. Così il valore, che a giugno era di 115 dollari al barile, è arrivato a 70, perdendo più del 30%.

Tutto questo preambolo non per annunciare che abbiamo ereditato un pozzo in Texas dallo zio d’America (magari), ma per sottolineare che due famosissimi derivati del petrolio, che in questi casi dovrebbero avere gli stessi valori al ribasso, resistono impavidi ad ogni scossone, specialmente in Italia. Sono i tanto amati gasolio e benzina, che viaggiano serenamente sui loro valori (oscillazioni da un centesimo non significano nulla) e non danno alcun segnale di reale flessione.

Nel nostro Paese una riduzione significativa, in linea col prezzo del petrolio (30% in meno), sarebbe una manna per i consumatori ed equivarrebbe a un’iniezione di risparmio fresco per i cittadini e per le aziende ben più significativo degli 80 euro renziani. Ma siamo nel campo dei sogni, perché il 60% di quel prezzo fa già parte delle accise fiscali che negli anni lo Stato ha applicato ai prodotti. E si sa che in Italia sono tutti campioni nell’abbassare le tasse soltanto a parole.

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