Crisis

Stipendio dimezzato ai dipendenti e blocco del ticket mensa sono due segnali inequivocabili per un’azienda, una società, un ente: dalla porta è entrata la crisi.

A maggior ragione simili provvedimenti lasciano perplessi se ad assumerli è un consiglio d’amministrazione molto particolare: quello dell’Isis. Nonostante abbia svaligiato tutte le banche di Sirte (33 milioni di euro di bottino), il Califfato è in difficoltà economiche e nella regione di Raqqa ha tagliato ai miliziani il compenso mensile che si aggirava attorno ai seicento dollari. In più ha smesso di distribuire generi di prima necessità a prezzo calmierato.

L’operazione di marketing aveva ottenuto l’effetto di far guadagnare una certa popolarità nei villaggi, quindi la decisione di rinunciarvi dev’essere stata sofferta. Anche per lo Stato islamico business is business e il denaro non cresce sugli alberi. La necessità di operare una drastica spending review è conseguenza di concomitanze che danno speranza al mondo occidentale sotto scacco: i raid aerei russi, francesi e americani hanno danneggiato i pozzi di petrolio in mano all’Isis e hanno spezzato il flusso di autobotti dirette verso acquirenti in nero come la Turchia. L’autofinanziamento è più difficile, i miliziani costano dai cinque agli otto milioni di dollari al mese, il fronte si allarga e i controlli finanziari hanno portato al blocco di capitali sospetti.

L’anno è appena cominciato e i soldi per gestire i primi servizi amministrativi e di assistenza nelle terre governate non bastano mai. Da qui la decisione di tagliare i budget con la scimitarra. Qualche ente pubblico di nostra conoscenza potrebbe anche chiedere una consulenza.

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