Le pen e i media

«Ma una settimana fa, non un anno fa, le due Le Pen non dovevano sbancare la Francia nel segno dell’antieuropeismo?». L’amico gira lo zucchero nel caffè con aria sorniona. Sostiene da tempo che l’informazione di questi anni sia un colpo di cannone dopo l’altro e crei solo un gran rumore che impedisce di capire o come canterebbe Battiato «di cogliere l’essenza».

Inutile spiegargli che in questa piccola rubrica, proprio una settimana fa, avanzammo l’ipotesi di un voto emotivo che sarebbe stato smontato dal sistema elettorale francese e pure dalla maturità di un popolo capace di compensazioni elettorali in chiave moderata.

È inutile spiegarglielo perché ha ragione lui. Un lunedì Marine Le Pen viene dipinta come la Giovanna d’Arco di Verdi e il lunedì successivo come una piccola fiammiferaia nell’era dei led. La schizofrenia impera e il contagio dei talk show più superficiali (e ormai poco frequentati) è reale. Così un evento destinato a sgonfiarsi come tutti i commentatori seri sapevano è stato tenuto in piedi per una settimana al solo scopo di fare audience con la canea. Ormai anche sui temi seri cala l’effetto «barba al palo», vale a dire il metodo preferito da certi commentatori di calcio. Se una squadra vince ha giocato bene, se perde ha giocato male. Questo li esenta dal capirne di pallone, addirittura dal guardare la partita. Ma il metodo ha una controindicazione: basta avere un minimo di memoria per sorridere davanti a certi giudizi su giocatori, moduli e allenatori a distanza di qualche giorno, di qualche rigore, di qualche refolo di vento. L’informazione non è mai la prosecuzione della chiacchiera da bar con altri mezzi. Per quello c’è Facebook.

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