News al formaggio

Altro che Murdoch, l’informazione è di Topo Gigio. Sulla radio, nella fascia oraria riservata alla casalinghitudine, sta girando uno spot che promette, a chi acquista un certo formaggio, in dono una copia di una rivista o l’edizione digitale di un quotidiano.

Il diavolo sta nei dettagli, dice il proverbio, e sulla notiziola di costume si misura la tempesta perfetta che in questi anni ha investito l’industria della notizia. Non la notizia, che la gente continua a cercare, essendo l’essere umano intessuto di storie da raccontare e farsi raccontare.

Ma il suo aspetto materiale, che esce da una filiera industriale ordinata, e che, in quanto prodotto finito a regola d’arte, si è disposti a pagare. Il costo di produzione (e quindi di acquisto) è sempre stato pre-abbattuto grazie alla pubblicità: cioè con la fornitura alle aziende di un bene prezioso per il commercio (la visibilità) su un mezzo insieme di grande diffusione e di grande prestigio, perché l’umile supporto cartaceo era imbevuto di fatti e idee, di cibo per la mente e per gli occhi. Insomma, tolto l’afflato lirico, il contenuto immateriale faceva premio sul contenitore.

Certo, le pagine dei giornali vecchi han sempre costituito un flessibile materiale multiuso: accensione di camini, assorbimento di umido nelle scarpe, protezione di superfici. Ma si trattava di un optional, di un riciclo alla fine della catena di valore del prodotto.

Negli anni ’80 spuntò la moda dei gadgets. Ma la filosofia era quella dell’aggiunta, della ciliegina sulla torta. Non dell’inversione del core business, come fa intravedere l’inedita accoppiata formaggio-news. Resta un dubbio: come farà Topo Gigio ad avvolgere un tablet intorno al groviera?

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