Pianelle di Stato

«Stragi, dica». È l’invito consueto del centralino della relativa commissione ministeriale a chi telefona.

È entrato nella storia del giornalismo (e anche del cabaret). Non evoca certo efficienza, bensì un incedere con le pianelle, un approccio abitudinario per non dire annoiato al tema delle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese negli anni di piombo, dei misteri, delle trame eversive. Forse anche per questo abbiamo colto con una smorfia di resa il primo rapporto della quarta commissione parlamentare sul delitto Moro e su tutto ciò che sarebbe accaduto dal 16 marzo 1978 (strage di via Fani) al ritrovamento del cadavere nel baule della Renault rossa in via Caetani (9 maggio 1978).

A trentasette anni dal sequestro di Aldo Moro e dal massacro della scorta si tenta di dare un contorno certo alla vicenda, dopo che avevano fallito lo scopo una prima commissione Moro, la commissione stragi e quella sulla P2. Provare a rimettere insieme il puzzle con 37 anni di ritardo è certamente meritorio ma fuori tempo massimo. E non si comprende come possa essere ottimista il presidente Fioroni (Pd). Le diramazioni del caso sono innumerevoli e arrivano fino all’Olp palestinese, alla Raf tedesca, alla Cia, a cani sciolti infiltrati, a fiancheggiatori rimasti nell’ombra, alla mafia, alla ’ndrangheta, alla banda della Magliana. Tutto questo mondo di gentiluomini sembra ruotasse attorno alle Brigate rosse. Dopo un anno di lavoro - che non sarà tempo perso ma comincia a sembrarlo - Fioroni ha spiegato: «Abbiamo trovato tante bugie e omissioni». Chi glielo dice che per scoprirlo bastava leggere Sciascia?

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