Ricordi Fallaci

«Quando muoio vado in paradiso perché adesso sto vivendo all’inferno». Era una delle sue frasi preferite nel Vietnam della guerra sporca, quella che fece perdere l’innocenza agli americani. Oriana Fallaci, la donna del fronte con la mimetica dalle mille tasche nella quale, prima che una penna, cercava una sigaretta.

Ci sono foto che valgono più di un ritratto e forse di una serie televisiva. Domani sera ne parte una sulla Rai, si parla di lei. E lei, elitaria e scostante tranne che per raggiungere un obiettivo, non l’avrebbe guardata. Era una forza della natura, «unstoppable», inarrestabile come la definiva Katherine Graham, la storica proprietaria del Washington Post. Oggi viene ricordata per la rabbia e l’orgoglio che urlò al mondo, dividendolo, dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Era unica. Si percepiva popolana ma beveva solo champagne e nella guerra del Golfo pretese d’essere la prima giornalista italiana ad entrare in Kuwait City liberata. Aveva 61 anni, gli altri rallentarono, non si delude un mito.

Un giorno in Vietnam due elicotteri erano pronti a partire per una ricognizione al fronte. Era il periodo in cui l’aspettativa di vita di un soldato americano paracadutato nella foresta era di 16 minuti, non uno di più. Due elicotteri. Sul secondo stavano prendendo posto alcuni giornalisti con la Fallaci, sul primo il generale Westmoreland, comandante in capo dei Marines. Al momento di salire in carlinga lei si mise a piangere. Il generale se ne accorse e provò a consolarla: «Lei è l’unica donna, non abbia paura. Sa che facciamo? Salga con me». In missione col generale, reportage da urlo in esclusiva e gli altri dietro a fremere. Quanto è utile la furtiva lacrima. Oriana ha avuto una vita, e che vita, anche prima della molta rabbia e dello smisurato orgoglio.

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