Seguirà risposta

Trovo nella posta un avviso di giacenza di raccomandata. Un postino furbo ha preferito evitare di suonare il campanello di casa, dove il destinatario è presente. Gli sono bastati trenta secondi per cavare dalla tecnologica macchinetta il suddetto avviso. Un blitz e via.

Più lungo il recupero della raccomandata. Montare in macchina, attraversare il traffico, mettersi in coda. Dove scopro che la metà dei miei occasionali compagni di sventura ha subìto lo stesso trattamento. Torno a casa dopo un’ora. Da utente indisponibile a sopportare prepotenze, vado sul sito «poste.it», inoltro un reclamo. La risposta merita una lettura diretta: «Gentile cliente, le normative interne prevedono che in caso di assenza all’indirizzo indicato, il destinatario, o una persona delegata... potrà ritirare gli invii in giacenza presso l’ufficio di distribuzione indicato sull’Avviso di Giacenza... Curato il ritiro necessario segnalare nuovamente il disservizio dichiarato indicando tutti i dati al momento mancanti mediante un reclamo on line».

L’esegesi di questo impasto di ipocrisia burocratica, di analfabetismo grammaticale, di stupidità comunicativa? Trattasi di risposta automatica. Ripete quello che sta già scritto sull’avviso di giacenza. Peggio: invita a ripresentare il reclamo, cui seguirà di nuovo la risposta automatica, che inviterà a ripresentare reclamo, cui seguirà la risposta automatica. È l’invito a impazzire in un processus ad infinitum. Privatizzare le Poste? Sì, ma solo se ci sono servizi postali in concorrenza. Un monopolio furbetto tale rimane. Pubblico o privato che sia.

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