Tasse elettorali

Tra gli stucchi di Villa d’Este a Como e nei giardini attraversati da Greta Garbo e Alfred Hitchcock, il premier Renzi sembrava una diva. E non certo una diva del muto, poiché ha parlato di tutto per tutto il giorno di sabato. Di tutto tranne che di tasse.

Ormai sappiamo che il governo ha in animo di tagliarle e avrebbe scelto di sacrificare quelle sulla prima casa. Lo ha confermato esplicitamente il ministro dell’Economia, Padoan, che ha sottolineato come «siamo all’inizio di un ciclo positivo e l’anno prossimo il debito comincerà a calare. Il taglio delle imposte è centrale nella strategia del governo e nella legge di Stabilità taglieremo anche quelle delle imprese».

Sono buone notizie e faranno piacere a tutti, ma nella perfidia della domenica sera vorremmo fare un distinguo da terza liceo. Se si ha a cuore il rilancio dell’economia bisognerebbe veramente tagliare le tasse sulle imprese, con l’obbligo contestuale di investire la quota risparmiata in know how, modernizzazione e assunzioni. E di conseguenza sarebbe altrettanto fondamentale abbassare quelle di chi lavora e produce reddito, passo concreto per il consolidamento della ripresa e il ritorno vero ai consumi. Parliamo di Irpef e Irap.

Se invece ci si vuole posizionare in pole per vincere le prossime elezioni meglio eliminare l’imposta sulla prima casa (in Italia riguarda il 70% dei cittadini), gesto popolare ma fine a se stesso, destinato a far crescere meno sia fiducia, sia consumi. Senza contare che questo tipo di tassa - certamente in modo meno confuso e con aliquote certe - si paga in tutta Europa. Poiché Renzi sembra molto affezionato alla seconda ipotesi e Padoan non sembra volersene discostare, significa che queste benedette elezioni non sono poi così lontane.

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