Un bicchier d’acqua

Poi in una domenica di pioggia apri un libro e trovi una risposta.

«Ritengo che fare il giornalista sia un privilegio. Ma che farlo bene sia anche un obbligo. Che fai, ti metti così a inseguire le cose? Dovrai ben avere una linea di condotta. La linea che mi sono assegnato io è quella di offrire, nel contesto eccitato del giornale, un bicchiere d’acqua. Lo sappiamo tutti come affatica la società, come travaglia, come suda. Il proposito è che tu, caro lettore, possa prendere fiato. Ti racconto apposta una storia che ti disseti. E questo diventa controgiornalismo, visto che le buone notizie non sono contemplate come notizie.

Il giornalismo predilige gli articoli che sanguinano, le vicende criminali, le cose alla rovescia. E tutto è incorniciato dalla solenne affermazione: “Noi giornalisti siamo i custodi della democrazia”. Ma quando mai? Bisogna andare alla ricerca di persone che diventino storie così belle da far dire a chi legge: finché c’è gente così possiamo sperare. Il giornalismo da mestieranti prevede che il cronista tenda trappole. Invece è affascinante il contrario. Nei giacimenti intimi di ogni persona c’è una perla. Durante un incontro la individuo e ne godo la lucentezza. Poi ne farò parte coi lettori per i quali voglio considerarmi un’anguriera lungo la strada dei giorni, riarsa dal sole e dalla fatica. Al lettore dico: ti ho servito in tavola questa storia, vedrai che ti appagherà, ne vorrai altre. E sarà facile per me perché tutti i viventi, quasi sempre a loro insaputa, hanno storie da raccontare. Un libero giornale non è riservato ai ricchi, ai criminali, ai politici, agli indifferenti, ai superficiali, ai trallallà. Non esiste la gente qualunque. Ogni persona è una copia irriproducibile. Un capolavoro assoluto». Giorgio Torelli, inviato molto speciale.

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