La strada verso casa
Torna Fabio Volo

È uno strano Fabio Volo questo del suo settimo romanzo. Al centro della scena c'è il solito sciupafemmine, eppure questa volta sono i rapporti fra i tre protagonisti maschili quelli che contano di più.

È uno strano Fabio Volo questo del suo settimo romanzo. Al centro della scena c'è il solito sciupafemmine, eppure questa volta sono i rapporti fra i tre protagonisti maschili quelli che contano di più: e vorrà pur dire qualcosa sulla «maturità» del ragazzo (41enne) di Calcinate, che oggi ha «messo la testa a posto» con una girlfriend islandese, Johanna Hauksdottir, da cui sta per avere un figlio.

«La strada verso casa» è soprattutto la storia di due fratelli. Il più giovane, Marco, è l'ennesimo alter ego di Volo, un uomo che «ama le partenze» più che gli approdi, che «vive solo degli inizi» e avanza tra le sue giornate «in folle, senza mai mettere una marcia, fare una scelta». L'altro fratello è Andrea, tipo al contrario deciso e soprattutto preciso. Ha preso in moglie Daniela, una donna «sobria, elegante, solenne e pallida»;vive una vita che è «un incastro perfetto», «senza nessun entusiasmo particolare, senza intoppi»: anche lui salterà. Perché la vita non è - come credono in fondo entrambi - qualcosa da far «funzionare» giocando con il freno e l'acceleratore.

Marco e Andrea vivono lontani anche fisicamente: il primo a Londra, dove ha aperto un ristorante e dimostra di voler bene alla gente più in cucina che in camera da letto. Andrea a Milano con il padre. Che si ammala gravemente e costringe così i due fratelli ad avvicinarsi come non succedeva da anni, lasciando affiorare una drammatica storia familiare. Avvicinarsi anche troppo: imomenti migliori arrivano quando, finalmente, hanno il coraggio di prendersi a schiaffi. Lo sfondo è il solito dei libri di Volo: letti disfatti, attrazioni che presto vengono a noia, eterni ritorni.

È il mondo dei ragazzi di oggi descritto dalla linea del fronte: per questo Volo vende e piace a chi ha meno di quarant'anni. Scrive (bene)con quel fare da gatto sornione, da pesce in barile, ogni tanto però alza il tiro, offre un colpo d'ala, ne inventa una bella (e questo è il suo aspetto migliore). Conosce le donne e sa vedere la «grazia» di certi incontri, la «strana luce» che emana dalla vita. Volo è il bambinone mai spento in noi, nel senso buono e in quello più cattivo; il narciso che ha «fame di vita», abituato a toccare e scappare («sono una persona orrenda, lo so»), magari anche a piangere, mai, però, a restare fuori dal gioco. È un libro un po' strano questo, dal finale discutibile. Per capirlo occorre rileggere il Camus posto ad esergo: «C'è sempre una filosofia per la mancanza di coraggio». Forse è proprio questo il tema che percorre sotterraneo, di personaggio in personaggio, la sua récherche, in cui alla fine tutto (famiglia, libertà, certezze e incertezze morali)si ribalta e sa, anche amaramente, di destino. Perché «mentre facciamo progetti, Dio ride».

Carlo Dignola

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