Furti d’appartamenti. Non se ne può più
E non solo per i danni economici

Anche la gioielleria Curnis, in pieno centro e in piena notte, è stata svaligiata. Di una gioielleria e di negozi si deve parlare, anche perché sono conosciuti dalla gente. Ma non sono soltanto i negozi a essere presi di mira.

Inizia così l’articolo di monsignor Alberto Carrara su www.santalessandro.org dopo la vicenda di cronaca che ha coinvolto il centro cittadino dove la gioielleria Curnis è stata assaltata nella notte tra domenica e lunedì. E continua il servizio online: quando si racconta di questi fattacci, immancabilmente, tutti hanno qualcosa da raccontare di proprio perché tutti, o quasi, hanno avuto i ladri in casa, in particolare negli ultimi tempi. È un fenomeno ormai endemico, impressionante.

Impressionante non solo per le dimensioni sociali che ha assunto, ma per i risvolti culturali, dei quali si parla poco. E si capisce che se ne parli poco. Quando la casa è sottosopra non si può «perdere tempo» a chiedersi che cosa significa culturalmente l’evento, ma si chiamano i carabinieri e i falegnami. Eppure quelle ricadute culturali ci sono (ne accennavamo anche in un articolo del gennaio scorso).

La casa, l’appartamento, di città soprattutto, è diventato nel sentire collettivo moderno, il santuario dove la divinità intoccabile del «soggetto», solo o con gli affetti rigorosamente selezionati, si rifugia. Lì si trincera e lì si difende dalle «tenebre esteriori» che gli sono talvolta nemiche, quasi sempre estranee. Per questo l’appartamento è protetto spesso dalla portineria, quasi sempre da porte blindate. Nelle “tenebre esteriori” si lavora, si viaggia, si traffica ma, in fondo, non si vive. Per vivere bisogna tornare nel santuario, il proprio appartamento, piccolo, protetto, «nostro», rigorosamente «nostro».

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